Se gli alti funzionari ministeriali hanno cercato in ogni modo di ‘svecchiare’ questi organismi alle ultime elezioni, le nuove leve di giovani eletti si cominciano a porre una delicata questione per troppo tempo sottovalutata: il rapporto tra “ComItEs” – ente istituito da una legge italiana e “ComItEs” – ente soggetto alle leggi del paese in cui opera.
Il MAECI guarda con scetticismo la possibilità di ritrovarsi intricato in questioni di conflittualità tra l’ordinamento italiano e lo stato estero, orientando i ComItEs verso un sistema di responsabilità personale dei membri senza personalità giuridica separata per l’ente. Un’azione presa da un singolo membro, quale ad esempio il Presidente, rischia di coinvolgere tutti i componenti.
In tempi passati, questo tipo di atteggiamento non era ottimale ma riusciva ad accontentare capra e cavoli. Allo stato attuale, però, dopo che anche il Direttore Generale Luigi Maria Vignali ha parlato di “importanti responsabilità” dei Presidenti dei ComItEs, non si può certo pretendere che eventuali conflittualità con le leggi locali e non riconosciute dall’Italia, ricadano personalmente sui componenti eletti che risiedono nei paesi esteri.
Capita che l’amministrazione italiana non sappia chi sei quando necessiti di assistenza in materia di ComItEs o quando serve far valere i tuoi diritti. È essenziale, quindi, che la questione del rapporto tra ComItEs “ente italiano” e ComItEs “ente soggetto alle leggi dello stato estero in cui opera” venga presa in seria considerazione da ogni neo eletto ComItEs, nell’interesse tutti i componenti. Dio non voglia ti trovi coinvolto in un qualche grattacapo amministrativo della peggior specie, se becchi pure un console incapace, sei alla frutta.
Il problema preoccupa soprattutto i giovani, ai quali per certi versi le slide colorate e la campagna “rose e fiori” di sensibilizzazione del MAECI del tipo “Vuoi fare un progetto? Candidati al ComItEs e realizzalo!” ha detto veramente poco sulle responsabilità legate alla gestione amministrativa dei ComItEs. Di formazione, ovviamente, non se ne parla, il che lascia molto a desiderare.
Fortunatamente, sulla questione, qualcuno si sta già attivando. Il ComItEs di Budapest, ad esempio, ha messo in programma tra i punti all’ordine del giorno di un suo incontro “identificazione del professionista cui affidare la pratica di costituzione del Comites-Ungheria in entità legale secondo la normativa ungherese”.
Nel 2003, una circolare del MAECI intitolata “La natura dei Comites. Il loro rapporto con lo Stato italiano e lo Stato ospitante” ha indicato che “lo statuto dei Com.It.Es. deve tener conto sia della normativa italiana, esplicitandola dove necessario, sia della normativa locale. Dopo i tagli sostanziali alle voci di spesa introdotti nel 2007, il governo chiede ai ComItEs di adoperarsi per “un più frequente ricorso alle altre fonti di finanziamento previste dalla legge,” come ad esempio “eventuali contributi disposti dai Paesi ove hanno sede i Comitati o dai privati,” venendo meno l’esclusiva dipendenza dagli stanziamenti dello stato italiano.
Non essendo più insolite le divergenze interpretative su come possono essere impiegate le somme stanziate dal governo, i ComItEs devono ricorrere a fonti di sostentamento estere (pubbliche o private), il che comporta in maniera naturale un’integrazione sostanziale con l’ordinamento dello stato ospitante e l’assunzione di impegni anche con amministrazioni estere.
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