“La situazione della stampa italiana oltre confine – ha esordito Cretti – Sta come d’autunno sugli alberi le foglie… citando i versi di una poesia di Ungaretti.
Con tutte le differenze del caso, questi versi rendono bene la situazione di precarietà in cui si trovano le testate italiane edite e diffuse all’estero. Passando dalla poesia alla prosa: se le prime stanno male, le seconde non stanno molto bene”.
Scompare, la pubblicità, si riducono a testimonianza gli abbonamenti. Queste altro non sono che conseguenze della perdita di autorevolezza delle testate, che paradossalmente deriva da un dato positivo: è indirettamente proporzionale al superamento delle difficoltà essenziali che le nostre comunità hanno incontrato nella fase di emigrazione.
Resta immutato invece e ancora più pressante, il bisogno di veicolare informazione: affidabile, credibile e naturalmente ripensare, ridisegnare, adeguare la strategia editoriale. Impresa tutt’altro che facile, se pensiamo che molte testate condizionano la loro esistenza ai contributi del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria del Ministero degli Esteri.
Contributi che vengono concessi o negati dietro parere espresso da Comites e Consoli operanti nell’aria di diffusione del periodico.
Talvolta i Comites e i Consoli – non tutti, per fortuna – non riescono a comprendere fino in fondo che il loro voto, previsto per legge quando una testata richiede contributi pubblici, deve basarsi su criteri quali, per esempio, la reale diffusione del periodico. Devono anche tenere in considerazione un altro aspetto: i contenuti pubblicati sono di interesse per la comunità italiana residente? Non deve e non può, tuttavia, interferire con la linea editoriale. Come glielo spieghiamo questo concetto ai Comites e ai Consoli, in maniera semplice? È solo questione di ignoranza istituzionali, oppure “la legge si interpreta per gli amici e si applica nei confronti dei nemici”.
La cronaca ci racconta di difficili convivenze fra presidenti di Comites ed editori, sfociate in denunce e alimento per tensioni strumentali che si sono trascinate nel tempo.
Non mi pare difficile comprendere che il parere, non vincolante, ma pur sempre obbligatorio, debba essere espresso in base a criteri oggettivi, che possano sintetizzarsi nell’effettiva presenza e diffusione della testata nella circoscrizione di competenza del Comites. Qualsiasi altra considerazione relativa al gradimento dei contenuti è per sua natura soggettiva, pertanto, fisiologicamente opinabile. È una valutazione, questa, che spetta ai lettori: sono loro che giustificano l’esistenza di una testata. Senza lettori non c’è testata.
A questo punto verrebbe da chiedersi “Come mai nessuno degli eletti all’estero pensa a difendere la stampa italiana nel mondo, mentre osserviamo che quando si tratta di patronati o enti gestori dei corsi di lingua italiana, la difesa da parte dei parlamentari è netta: si fanno sentire, intervengono pubblicamente, prendono le loro difese?
Gli editori italiani all’estero, in particolari quelli più piccoli, invece sembrano essere totalmente abbandonati a se stessi. A loro sembra non pensare nessuno. Eppure i nostri politici eletti oltre confine ci tengono sempre molto ad essere presenti all’interno della nostra testata e si lamentano quando non pubblichiamo i loro interventi.
Del sostegno alla stampa nessuno si fa carico, perché superficialmente ritenuta una battaglia di retroguardia, per merito (per colpa?) delle nuove tecnologie, per cui non ha più senso occuparsi di qualcosa che si ritiene sorpassato, dall’altro si coltiva la comoda convinzione, magari temporanea, miope, interessata, che oggi vale la legge del mercato, gridando urbi et orbi (agli orbi e ai sordi?) che il sostegno pubblico vada annullato, stabilendo di fatto il principio che solo chi ha i soldi possa creare o gestire i canali per la (dis)informazione.
Nel frattempo le piccole, perché nei fatti sono piccole, testate degli italiani all’estero dovranno continuare a confrontarsi con il significato di un termine che negli ultimi tempi è entrato nel nostro vocabolario quotidiano: resilienza. Ciò non può prescindere dal sostegno pubblico, ma presuppone una rinnovata capacità di produrre e veicolare informazione, in qualche modo proponendosi come animatori di una nuova consapevolezza di cui devono riappropriarsi i lettori.
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