C’è una regola non scritta, una frase che mi veniva sempre ricordata ogni qualvolta io facessi un ragionamento politico con un mio amico comunista. “ i discorsi della notte non vanno mai d’accordo con quelli del giorno seguente”
E credo che questa affermazione in politica vale più della credibilità stessa dei chi fa promesse.
Nel lontano marzo del 2018, si sembra un secolo fa, la pandemia non cera ancora, ma cera la malattia de potere a tutti i costi, fermando per tre mesi le istituzioni Italiane.
Sappiamo tutti che questa legislatura è ed e stata travagliata come nello stile istituzionale italiano, in Italia si sa quando inizia un governo ma non si sa fino a quando dura, nella costituzione c’è scritto per cinque anni, raramente questa regola è stata attuata, tranne per i parlamentari, quelli sono e rimangono la fino all’ultimo minuto.
In quei giorni travagliati per la costruzione del governo, dovuto a un capriccio dei numeri perché nessun schieramento aveva i numeri per governare, anche questa regola è nello stile italiano, Il presidente Mattarella ci ha messo più di tre mesi per formare il governo, uscì fuori dal cilindro del Colle l’alleanza impossibile, la così detta giallo-verde.
Di fatto dal Conte I il movimento cinque stelle perse la sua verginità.
In quei giorni i grillini chiesero con Di Maio: “Occorre impeachment Mattarella per evitare reazioni della popolazione. Poi si torna al voto”
“Quella di ieri è stata la notte più buia della democrazia italiana, Mattarella ha deciso di scavalcare le sue prerogative e impedendo la formazione di un governo che con il contratto avrebbe avuto la maggioranza assoluta”. Lo diceva Luigi Di Maio in diretta Facebook il 28 di maggio 2018, chiamando i suoi elettori alla mobilitazione contro la decisione assunta dal capo dello stato di porre un veto su Paolo Savona al ministero dell’Economia.
“La scusa dei mercati è una bufala”, insisteva l’allora leader grillino, che ribadiva l’intenzione di attivare la procedura per la messa in stato d’accusa nei confronti di Mattarella. “Il presidente è andato oltre le sue prerogative” e “la messa in stato di accusa si può fare” e che “se la Lega non fa passi indietro è una certezza pressoché assoluta”.
Ma già il giorno seguente, il M5s – per bocca del suo numero uno – si diceva “pronto a collaborare con Mattarella” per la formazione del governo. Due anni dopo lo stesso Di Maio definiva il presidente “un simbolo luminoso dell’unità del paese” e non escludeva un suo secondo mandato.
E quando Myrta Merlino a L’aria che tira su La7 gli chiedeva conto di questa drastica sterzata, lui – parafrasando Spiderman, anche nell’arrampicarsi sugli specchi – rispondeva: “Da grandi errori nascono grandi opportunità. Da quell’episodio ho rafforzato il mio senso di responsabilità istituzionale”.
Ora sono loro, i grillini, a chiedere che Mattarella rimanga al Colle per un bis.
La politica è fatta di chiacchiere, fai un po’ di “casini” e poi ti danno una poltrona, anche due, come è successo con Di Maio, nel primo governo Conte, oggi il M5s è diventato come la balena bianca, tante correnti e nessuno comanda.
Il Movimento 5 stelle è semplicemente allo sbando. Palazzo Madama, che doveva essere una specie di fortino per Conte, ha chiesto di fatto un commissariamento dell’avvocato del popolo, e ha inventato di sana pianta una linea che nelle parole del leader non è mai esistita.
Alla Camera le truppe fedeli al capo politico si assottigliano ogni giorno di più. L’ex premier non riesce a imporre una linea, sempre che ne abbia una, e al Nazareno iniziano in queste ore a mettere seriamente in dubbio l’affidabilità dell’alleato. Che prima sembrava voler sbarrare la strada a Draghi, poi ha capito il rischio di aprire un Vietnam dei numeri nelle votazioni che si susseguiranno a fine mese ed è tornato sui suoi passi, iniziando a ragionare dell’ipotesi con Enrico Letta cercando una successione ordinata a Palazzo Chigi, senza che se ne sapesse molto in giro perché poi il partito esplode.
Il problema è che il partito era già esploso da tempo e non c’è nessuno in giro che cerchi di raccoglierne i cocci, con Conte che si muove più da capo corrente che da capo politico, e intorno una Babele in cui l’unico comun denominatore è il disperato tentativo di non andare a casa. La “prima forza politica in Parlamento” – galloni continuamente ostentati nella narrazione 5 stelle perché di altri primi posti v’è penuria, e al massimo si può sbandierare il record di addii – non ha una proposta di metodo e di merito sul quale far sedere al tavolo alleati e non, non ha il boccino in mano, anche perché non sembra al momento capire a che gioco si stia giocando.
C’erano tempi in cui si urlava “Ro-do-tà, Ro-do-tà” animati da velleitarismo e del tutto indifferenti all’esito dello scontro, tempi in cui il Movimento pur costretto nella sua ridotta si muoveva all’unisono sulla scorta di un’idea. Otto anni dopo sono rimaste le scorte, di idee nemmeno a parlarne.
La realtà che questi signori dovevano essere quelli delle regole, quelli che avrebbero messo al centro la democrazia diretta, ancora una volta il popolo italiano si è fatto abbindolare, del resto anche noi all’estero non siamo da meno, vedi chi è in parlamento e capisci il livello politico italiano, chiunque sia il nuovo presidente nulla cambia finché in parlamento ci sono queste macchiette.
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