È questa l’Italia che vogliamo?

“Non sbagliamo mai!”, questa la retorica di certi uffici e funzionari pubblici italiani, che pur sapendo di mentire, scalano i più alti livelli di potere per spingere nella fossa quanti sono a loro scomodi. E se per caso ti adoperi per fare notare un errore sul merito, evidenziando pregiudizi e la commistione di personalismi a scapito dei diritti altrui, la risposta è una sola, “ma che c’entra?”

Anche davanti all’ingiustizia manifesta, invece di ammettere i propri sbagli, si rilancia contro per difendere lo status quo, per fare finta che l’integrità di certe alte cariche è indiscutibile. Se per caso, però, dovesse scoppiare uno scandalo, tutti pronti a fare un bel dietro front e dire pubblicamente di aver saputo da qualche innominato che il personaggio era un poco di buono. La solita ipocrisia all’italiana.

Vivendo in Australia, uno si illude che nel resto del mondo ci possa essere un sistema adeguato alle esigenze dei cittadini e capace di riconoscere quando le decisioni di un organo o funzionario siano viziate e richiedono una revisione.

Sia che si tratti di materia di emigrazione, che di una licenza che il comune non vuole rilasciare per la costruzione di uno stabile, in questa meravigliosa terra se porti le tue ragioni all’organo superiore incontrerai qualcuno che prenda seriamente in considerazione i tuoi quesiti e i tuoi ragionamenti, senza girarci molto intorno per difendere un collega, che è pronto a sporcarsi le mani per la ricerca della verità. Se un dipendente pubblico commette un errore di valutazione, in Australia, lo si evince nella sostanza e si rimedia, senza troppi panegirici per il dipendente e collega della pubblica amministrazione.

Penso ad esempio alla vicenda giudiziaria del Cardinale Pell, dove è dovuta intervenire l’Alta Corte d’Australia per valutare le inesattezze giuridiche e politicamente motivate nelle prime sentenze emesse da due corti contro l’alto prelato. Con questo, non entro in merito alle vicende che hanno interessato il Cardinale, se sia innocente o colpevole, bensì esprimo la mia gratitudine verso un sistema, che in casi di manifesta ingiustizia, di mancanza di prove certe, generalmente mette in modo sistemi adeguati di controllo. In questo paese, fortunatamente, la giustizia non è coalizzata o in mano agli stessi dipendenti pubblici.

L’indipendenza della magistratura non è scritta esplicitamente nella Costituzione Australiana, eppure è uno dei cardini morali dello stato. In Italia, invece, secondo un rapporto sulla corruzione, malgrado l’autonomia della magistratura dal potere esecutivo sia contenuta nella carta “più bella del mondo”, agli occhi della maggioranza dei cittadini il sistema appare, “lento”, “inefficiente”, “corrotto e molti pensano che tangenti e abuso di potere siano comuni.”

In Australia, quando fai notare un problema decisionali, non solo trovi sempre un manuale di procedura chiaro ma i poteri e gli uffici non si coprono uno con l’altro. Questa è il vero modo di salvaguardare l’integrità delle istituzioni. 

In questo campo, la nostra Italia ha ancora molto da imparare e purtroppo non è con gli slogan sull’ambiente, sulla parità di genere e sui diritti umani che si cambiano certi ingranaggi occulti di potere. Ma la più grossa delusione rimane la politica.

Un’accozzaglia di parassiti sociali, che si fanno vedere soltanto in periodo di elezioni e poi nulla più, a parte le solite regalie da qualche milioncino di Euro nella legge di bilancio strettamente per gli amici. Il paradosso è che sono proprio i politici a controfirmare gli abusi di potere dei dipendenti pubblici, malgrado siano stati in prima istanza portati a conoscenza dell’uso arbitrario del ruolo affidato a loro dalla legge.

Come recita un proverbio molto usato da un grande politico italiano, Giulio Andreotti, che conosceva bene l’indole di chi una volta raggiunto lo scranno si scorda di chi lo ha eletto: “’O cummanna’ è meglio d’ ‘o fottere.”

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