La parola al voto

Domenica sera è stata l’ultima occasione per i candidati della Circoscrizione estera Africa, Asia, Oceania e Antartide di presentarsi agli elettori, tramite una diretta via Zoom che prevedeva anche la partecipazione dal vivo, nei locali del Community Centre di Greenway Park. Il dibattito, voluto e organizzato dal nostro settimanale Allora! e dal Podcast “Le Voci Dentro”, è stato coordinato Da Emanuele Esposito e Marco Testa. Tutti i candidati erano stati invitati all’evento, senza preferenze o favoritismi. Presente in sala Nicola Carè, mentre Clorinda Altrocchi, Antonio Amatulli, Rossana Di Bianco, Sandro Fratini, Francesco Giacobbe, Rocco Papapietro e Federico Berchi, hanno partecipato via Zoom. I candidati hanno risposto a cinque domande precedute da un breve filmato che analizzava le problematiche degli italiani all’estero.  

Servizi Consolari

Il “Conto alla Rovescia” organizzato dalla redazione di Allora! insieme a Le Voci di Dentro condotto da Emanuele Esposito e Marco Testa ha avuto inizio con l’argomento dell’efficienza dei servizi consolari, con un video sul sistema Spid e alcune slide sulle lungaggini nelle sedi della Farnesina all’estero per l’accesso alle prestazioni richieste che a volte richiedono anche attese di anni. 

Clorinda Altrocchi 

Per le problematiche di orari di apertura dei consolati e della distanza, sono i potenziamenti dei servizi forniti direttamente online. Questa credo sia la strada migliore da seguire. Inoltre, il Movimento Cinque Stelle vuole introdurre per aiutare i cittadini che per vari motivi si trasferiscono all’estero per studio per lavoro, uno sportello di primo arrivo in servizio ventiquattro ore su ventiquattro per dare informazioni di conseguenza aiuto alle persone che affrontano la arrivo in un paese che non conoscono. 

Antonio Amatulli 

L’efficienza dei servizi consolari è un tema abbastanza urgente e anche complesso per verità. Insomma, qualcosa si sta già facendo. Abbiamo dei consolati che sono assolutamente efficienti, altri invece nel quale il personale impiegato non è assolutamente all’altezza dei cittadini italiani di residenti. Qualcosa si sta già facendo con l’implementazione dei servizi online, però chiaramente occorre insomma fare io più. Mi riferisco, ad esempio, ad alcune aree in cui la comunità italiana negli ultimi anni è andata rapidamente crescendo, come a Dubai o in Cina. Dunque occorre, è innegabile, constatare che qualcosa si sta già facendo, che la via sarà l’implementazione dei servizi online. Come diceva la collega candidata è insomma, in questa direzione stiamo già andando, però chiaramente occorre insomma fare io più. 

Rossana Di Bianco 

Nella nostra lista, il primo punto è quello dei consolati, tant’è che nel nostro programma è chiaramente definita la proposta di aumentare del cinquanta per cento la dotazione organica dei consolati, ovviamente laddove ce ne fosse bisogno. Riteniamo che sia importantissimo che parallelamente alla digitalizzazione, sia importante anche aumentare l’organico, soprattutto l’orario di ricevimento, perché è spesso troppo esiguo e molti dei nostri connazionali all’estero, specialmente le fasce più deboli o le persone anziane, hanno bisogno anche del contatto umano e di conseguenza per loro c’è bisogno magari di più tempo e se un consolato aperto soltanto tre ore al giorno non si riesce a lavorare e smaltire il lavoro che c’è. 

Rocco Papapietro 

Nel mio programma, uno dei miei pilastri e la digitalizzazione dei servizi consolari. Prima di tutto va fatta una mappatura delle esigenze perché io sento di consolati che funzionano, e altri consolati che funzionano meno. Voglio evitare di dire consolati che non funzionano. Quindi digitalizzazione online, ma anche un’operazione offline, cioè una partnership tra privato e pubblico. Ovvero si potrebbero stipulare dai consolati e ambasciate delle convenzioni con patronati, con associazioni riconosciute per poter snellire le attività da svolgere. Non credo molto nel rinforzo delle ambasciate e nei consolati indipendentemente dalle esigenze e dalla mappatura. 

Nicola Carè 

Dobbiamo cercare di risolvere i problema della partecipazione dei contrattisti, per quanto riguarda il personale dei consolati. Dall’altra parte dobbiamo constatare i volumi di lavoro che deve svolgere il consolato e associare o chiedere ai patronati o altre associazioni di svolgere il lavoro preliminare per fare tutto questo. Abbiamo i patronati, come altre associazioni, che possono avere un diretto contatto con la comunità e alleviare il lavoro consolare. 

Federico Berchi 

Ribadisco l’urgenza di procedere al potenziamento dei servizi consolari. È un discorso comune anche in Italia, perché questo potenziamento si sposa con una trasformazione dell’attività amministrativa. Non crediate insomma che a Roma, per il rilascio di una carta di identità alla quarta circoscrizione, ci vogliano meno di quattro mesi. Quindi sicuramente un discorso di organico per cui l’accordo il riferimento ai patronati o alle associazioni. Io condivido la digitalizzazione, ma non credo sia semplice spiegare lo Spid o come si accede al portale Pass a mia mamma o a mio papà. Serve un discorso di alfabetizzazione digitale. Tanti anziani non trovano agevole rivolgersi agli strumenti informatici per cui serve uno sportello per garantire un affiancamento di un funzionario, anche perché la digitalizzazione rende impersonale il servizio e non c’è più un responsabile del provvedimento o del procedimento a cui rivolgersi. 

Sandro Fratini 

I servizi consolari sono un punto molto, molto delicato. Anch’io penso che le risorse che il piano nazionale di ripresa PNRR riserva alla digitalizzazione devono essere canalizzate. Per migliorare e rendere efficienti anche i servizi consolari è indispensabile digitalizzare i processi per facilitare l’accesso digitale per i cittadini italiani all’estero. Non è sufficiente, però sono d’accordo. Faccio un esempio della Tunisia. Cinque anni fa gli iscritti AIRE erano poco meno di tremila, sono diventati settemila e mancano cinque unità all’interno del consolato. Questo è un grosso problema. Perché non si va solo per il rinnovo del passaporto, ma si va per atti notarili, ricongiungimenti familiari, il rilascio dei documenti, permessi anche di soggiorno. In più, secondo me, bisognerebbe inserire una sorta di meritocrazia per i consolati che funzionano. Perché è vero, ci sono molti consolati che funzionano bene. 

Francesco Giacobbe 

Bisogna andare in diverse direzioni. Digitalizzazione indubbiamente, ma siamo sulla strada giusta, per cui su queste cose siamo perfettamente d’accordo. C’è un problema di organico che è fondamentale da risolvere. Va risolto in due direzioni: da un lato mettendo a disposizione delle risorse perché vengano aumentati il numero dei contrattisti locali assunti nei vari consolati. Nello stesso tempo devono essere adeguati i loro, i loro compensi, i loro salari. Perché purtroppo uno dei problemi che abbiamo è quello che in alcuni consolati, come anche in sedi diplomatiche, i nostri contrattisti guadagnano più o meno del livello della povertà. E poi infine la questione con i patronati, quantomeno per provare a fare il lavoro preparatorio su questi argomenti. Nel passato abbiamo iniziato le trattative per le convenzioni con i patronati, che poi purtroppo si sono arenate. Bisogna ricominciare. 

Comites e CGIE

L’argomento sulla riforma dei Comites e del CGIE è stato introdotto con un video del segretario generale del CGIE, Michele Schiavone, il quale ha ricordato come in occasione delle scorse elezioni gli organi di base abbiano coinvolto circa il 3% degli elettori votanti. 

Antonio Amatulli 

Per quanto riguarda i Comites, innanzitutto è uno strumento importante di raccordo tra il governo italiano e le comunità territoriali, quindi bisogna partire da ciò. Chiaramente è un contenitore e, come tale, può svolgere ottime attività oppure, a seconda degli interpreti, di minore efficacia. Detto questo, però, il contenitore c’è ed è bene che ci sia e che vada potenziato. Uno dei punti del mio programma riferito alle attività dei Comites e quello della promozione di riunioni annuali fra gli Intercomites dei diversi stati della ripartizione. 

Rossana Di Bianco 

Bisogna fare una premessa che i Comites sono organismi di rappresentanza utilissimi e preziosi per gli italiani all’estero. Di conseguenza non vanno aboliti, vanno sicuramente migliorati e implementati, perché se pensiamo che per avere un Comites bisogna raggiungere tremila residenti italiani, noi dobbiamo anche immaginare le nazioni dove non ci sono tremila italiani. Ripeto, io faccio sempre l’esempio dell’Africa, perché ovviamente riporto alla mia esperienza, ma è così. Non esisteva, per esempio, il Comites, non esisteva il CGIE, non esisteva un patronato è perché per vari motivi, ma anche per motivi politici. Quindi noi dobbiamo anche riflettere su questo. A cosa servono i Comites laddove se non possiamo poi effettivamente eleggerli. Sicuramente ci deve essere una revisione, ed infatti è un punto molto importante del nostro programma. 

Rocco Papapietro 

In relazione ai Comites e ai CGIE chiaramente io non posso verticalizzare un’analisi. Quello che vedo e che comprendo che ci siano situazioni a compartimenti stagni, cioè non c’ è una armonizzazione, quindi fatto centro lo strumento che potrebbe essere il Ministero degli Italiani all’Estero, però un ministero vero un ministero con portafoglio, io credo che bisognerebbe creare un ecosistema tra tutti questi enti in modo tale che non si creino situazioni di sovrapposizione o di overlap. Quindi detto questo, da una parte sono d’accordo che è tutto molto bello, tutto molto interessante, ma laddove non c’ è il Comites cosa succede agli italiani? a chi si rivolgono? 

Nicola Carè 

Il problema è semplicemente questo: far partecipare tutta la rappresentanza della comunità all’interno del Comites, dagli italiani di prima generazione alle seconde e terze generazioni e anche all’ultima arrivata, i giovani che sono arrivati così chiamati “fuga dei cervelli”. Che poi la definizione non è proprio precisa. Se tutto questo è vero, ed è vero, perché i Comites sono fondamentali, sono i catalizzatori delle problematiche, la prima cosa che bisogna togliere l’opzione, perché bisogna partecipare direttamente. Quindi io credo e mi batterò per questo che il CGIE deve essere un’assemblea dei presidenti dei Comites a prescindere dalle aree. Io so per certo che già esistono gli Intercomites dove si dibattono tutte le problematiche dei diversi Stati o delle diverse Nazioni, però bisogna farlo in questa maniera. E poi io credo che sia necessario che si dia un ruolo anche ai rappresentanti politici che vengono eletti. E i rappresentanti politici hanno un ruolo quello di portare le problematiche al ministero competente. 

Federico Berchi 

Rossana Di Bianco, ricordava prima che i Comites sono obbligatori nelle aree in cui risiedono almeno tremila cittadini italiani residenti devono essere implementati soprattutto nelle aree in cui non c’è nessuno che fa da catalizzatore delle problematiche per cui gli italiani, quando sono in numero sufficiente, si aiutano da soli con i patronati e le associazioni. Non abbiamo Comites, in Asia, in Africa, in Cina, in Medio Oriente. Mi hanno detto sì, ma ci sarebbe quello di Dubai. Da Riad sono mille chilometri; come andare da Roma a parlarne a Praga. Quindi serve un comitato in tutte le ambasciate. Non vedo perché non si possa fare. Le strutture sono poche, andrebbero implementate, ma quelle che ci sono vanno messe in condizione di lavorare con poche migliaia di euro, cosa può fare un Comites? Può forse organizzare la cena di Natale per i cittadini della propria comunità? Certamente non può offrire un servizio di consulenza legale, fiscale e tributario aprendo uno sportello servizio. 

Sandro Fratini 

È da tempo che si sta parlando della necessità di una vera e propria riforma dei Comites e del CGIE. Allo stato attuale, comunque, ben poco possono fare. Io dalle ultime elezioni sono il presidente del Comites in Tunisia e ho riscontrato che praticamente siamo solo dei passacarte. Non abbiamo nessun tipo di autorità, anzi siamo visti come un ulteriore problema da buona parte dei consolati. Non tutti devo dire la verità, ma la maggior parte. Per i CGIE è la stessa cosa. Cioè è una struttura, un’istituzione che deve portare le nostre esigenze e le nostre richieste al governo, ma ha lo stesso problema, secondo me che abbiamo noi con le nostre ambasciate, i nostri consolati. I Comites sono veramente molto, molto importanti. Occorre quindi, quanto prima, secondo me, fare una vera e propria riforma. 

Francesco Giacobbe 

Per ciò che riguarda i Comites occorre riformare innanzitutto la maniera come vengono votati. Occorre inoltre rivedere la rappresentanza all’interno dei Comites, che oggi avviene su base spontanea, all’interno delle varie comunità che devono essere rappresentati. Qualcuno parlava prima di prime, seconde e terze generazioni, così come i nuovi arrivati del mondo della ricerca, eccetera. Bisogna modificare i ruoli dei Comites, perché in questo momento non hanno nessun ruolo definitivo, nessun ruolo vincolante, anche nei pareri che danno non sono vincolanti, quindi da questo punto di vista bisogna rivedere il ruolo. In altre parole, i Comites devono far parte del sistema italia a tutti gli effetti. 

Clorinda Altrocchi 

I Comites e i CGIE andrebbero sicuramente riformati, soprattutto per come vengono eletti perché per le elezioni dei Comites per poterli votare bisogna richiedere. Io voglio votare un una persona ai Comites e devo chiedere posso votare? E I CGIE sono eletti dai Comites per cui mi sembra una cosa un po’ particolare. Questo deve cambiare, per cui ci vuole una bella riforma, dove vogliamo l’inclusione di tutti i cittadini. Votare senza doversi registrare elezioni anche per le elezioni del CGIE. 

Riforma dell’AIRE e voto all’Estero

La riforma dell’AIRE e del diritto al voto è stato affrontato con un video del Direttore Generale DGIT Luigi Maria Vignali e con un commento dei moderatori Esposito e Testa sulla mancata ricezione dei plichi e sul fatto che un numero riconosciuto di persone decedute hanno comunque ricevuto il plico. 

Rossana Di Bianco 

Per quanto riguarda il voto all’estero, così come concepito, va assolutamente cambiato. Assolutamente. Per diversi motivi. Innanzitutto perché abbiamo visto che i plichi non sono arrivati dappertutto; questo è gravissimo ma però non possiamo farci nulla perché ormai non sono arrivati e queste persone non avranno votato. Inoltre è un sistema obsoleto, quindi va assolutamente modificato. Io insisto sul fatto che ci debba essere comunque una doppia opzione, cioè, laddove non è possibile appunto votare attraverso il voto digitale, bisognerà creare delle alternative attraverso dei seggi, in associazioni, in patronati, in modo tale che le persone che non riescono comunque a votare a livello digitale riescono a farlo invece attraverso un seggio. 

Rocco Papapietro 

Per quanto riguarda il voto, prima di arrivare alla tanto agognata digitalizzazione, ci sono soluzioni anche che possono essere adottate al di là della spedizione a casa del plico. Un voto in consolato, creare dei seggi locali, creare dei seggi mobili, un’unità mobile che si occupa di raccogliere il voto all’estero, per esempio, per passare poi a quello digitale. Sul discorso che gli iscritti all’AIRE, la situazione dell’assistenza sanitaria sembra quella più sentita quando gli italiani rientrano in Italia io proporrei all’INPS di istituire una mini-assicurazione. So che in altri Stati lo fanno, quindi una mini assicurazione per gli italiani che vi siedono all’estero che copra eventuali problematiche mediche durante la permanenza in Italia. 

Nicola Carè 

La riforma AIRE bisogna assolutamente farla, perché questa legge, secondo me è passiva, non è attiva, non prende in considerazione tutte le mobilitazioni degli italiani che si muovono intorno al mondo, soprattutto le nuove generazioni, non prende in considerazione la parte sanitaria e non prende in considerazione la parte contributiva per quanto riguarda la parte pensionistica. Per quanto riguarda il voto, anche il voto bisogna assolutamente rivedere perché non è possibile. Io ho preso la mia scheda due giorni fa e non è possibile che dobbiamo aspettare il plico elettorale che arriva all’ultimo minuto con l’acqua alla gola. Io credo che bisognerebbe fare una cosa ibrida, fare la parte elettronica, ma soprattutto anche la parte diretta. 

Federico Berchi 

Immaginatevi milioni di plichi in partenza dall’Italia per i quattro continenti della nostra circoscrizione. Quindi, alcuni arrivano ad Addis Abeba, a Kathmandu, a Pechino… è un sistema ovviamente molto problematico. L’ottanta per cento delle persone che io conosco non ha ricevuto il plico e quindi ha ripreso appuntamento per andare in ambasciata. Ma allora che sia possibile votare in ambasciata, quindi più che votare poi nei patronati o nelle associazioni, questa è un’attività necessariamente consolare perché il Console tra le sue attività ha anche quella di gestione dei dati sensibili dei cittadini nelle proprie aree.  Il discorso dell’AIRE, lasciamo all’iscritto la potestà di versare un proprio contributo e avere questa copertura quantomeno nei propri rientri in Italia. Questo versamento, secondo me, potrebbe essere versato direttamente dalle imprese che hanno lavoratori distaccati all’estero. 

Sandro Fratini 

Non tutti i nostri connazionali, come molti sanno, effettuano l’iscrizione all’AIRE perché per loro è più una penalizzazione, un problema che una risoluzione dei loro problemi. I dati non vengono aggiornati. I consolati rispondono che devono aggiornare tra i deceduti i nuovi arrivati, quindi anche gli aggiornamenti al Ministero non vengono mandati celermente. La consegna attraverso gli uffici postali non funziona. Molti plichi non vengono consegnati o non ritornano in tempo in consolato. Quindi la soluzione, quanto prima, è quella di istituire o il voto elettronico o l’apertura dei seggi come fanno altri paesi europei tra cui la Francia. 

Francesco Giacobbe 

Per ciò che riguarda l’accesso alla sanità, io trovo assolutamente incostituzionale che ci siano cittadini italiani di serie A e di serie B in Italia. Serie A che hanno diritto all’assistenza sanitaria diretta del sistema sanitario nazionale, serie B gli iscritti AIRE che hanno diritto solamente l’assistenza di emergenza negli ospedali che, tra l’altro, costa molto di più del medico di base. Per il sistema del voto. Innanzitutto bisogna pulire le liste, perché è inimmaginabile che in un paese civile venga interrotta la pensione ad una persona che è deceduta e dopo nove anni ancora il suo nome è ancora nelle liste degli elettori. Se un documento va bene per interrompere il pagamento della pensione, dovrebbe andare bene anche per eliminare il nome dalla lista degli elettori. 

Clorinda Altrocchi 

Le esigenze dei nostri connazionali espatriati sono molte e variegate a seconda del Paese in cui si trovano. Tra queste ho individuato le esigenze di migliorare e facilitare l’assistenza sanitaria degli espatriati che rientrano in Italia, soprattutto oltre ai servizi di emergenza e del pronto soccorso, per non far sentire l’italiano di Serie B, per cui tutti devono essere italiani nella stessa misura. Quindi le cure mediche per AIRE anche in Italia. La carta d’identità elettronica, quindi anche per il voto, per facilitare gli scambi con le istituzioni in Italia e anche introdurre la possibilità di votare online. Anche questo fa faciliterebbe la riduzione degli imbrogli. E inoltre chiaramente per tutti coloro che non sono avvezzi a parte elettronica e computer, si potrebbe accompagnare questa fase con il cartaceo, per chi non riesce a fare una domanda o per votare nella vecchia maniera. 

Antonio Amatulli 

Il voto per gli italiani all’estero, nelle modalità in cui avviene, credo che non possa continuare ad essere portato avanti nelle maniere attuali perché rischiamo grosso. L’affluenza continua ad essere sempre più bassa e a quel punto, non solo per la mancata efficienza del servizio postale, ma anche semplicemente perché i cittadini italiani perdono interesse in questo sistema di voto per così come è organizzato. Chiaramente le realtà variano da paese a paese, ma diciamo difficoltà sono riscontrabili un po’ ovunque. Anche oggi sentivo che in Australia, ma in Sudafrica, c’è stata una lettera di protesta, perché molti, soprattutto nelle aree lontane dai grossi centri non hanno ricevuto il plico. 

Stampa Italiana all’Estero

Un’intervento video di Giangi Cretti della FUSIE (Federazione Stampa Italiana all’Estero), ha aperto il dibattito sul tema della stampa italiana all’estero e su come i candidati intendano dare impulso ad un cambio di rotta per un sistema pieno di criticità. 

Francesco Giacobbe 

Il Partito Democratico è sempre stato il partito per la pluralità dell’informazione che forma la base anche dell’accesso ai diritti democratici; quindi, da questo punto di vista non dobbiamo convincere i convinti sulla necessità di incoraggiare la stampa, sia cartacea, sia in maniera tramite radio, tramite televisione all’estero. Si parlava specificatamente di problemi inerenti al finanziamento della stampa italiana all’estero sono due questioni. La prima è quello che i fondi a disposizione sono sempre meno e diventano sempre più onerosi dal punto di vista della collocazione dell’allocamento. Quindi bisognerebbe andare a vedere tutta la legislazione relativa ai finanziamenti della stampa italiana all’estero e della funzione del sottosegretario all’editoria. Il secondo c’ è un sistema, che io oserei definire di una specie di censura personalizzata nei confronti della concessione di questi finanziamenti, che secondo me va superata, perché se non si supera quel concetto del criterio estremamente individuale diventa come troppo potere ad una persona che deve decidere. Ovviamente non si possono finanziare gli organi che fanno politica per un particolare partito, ma qualsiasi tipo di strumento che invece dà informazione, anche se controversa, nei limiti ovviamente di quelli che sono i diritti della libertà di stampa della Costituzione, io non vedo perché debbano essere bloccati. 

Nicola Carè 

Mi soffermo su una cosa chiara del programma PD che ho promosso; quella di rafforzare l’informazione cartacea, televisiva e via etere all’estero. Questo è importantissimo. Rinforzare significa trovare finanziamenti. Questo perché le comunità italiane all’estero sono sempre più sparse e serve un contenitore di dibattito. E questi contenitori dibattito sono dati dalla stampa. Abbiamo qua una testata, Allora! News, che ha organizzato questo dibattito e mi sembra assolutamente ovvio che bisogna rinforzare questo tipo di informazione e anche formazione. Mi rifaccio a quello che avevo detto prima, per far sì che le seconde e terze generazioni si sentono sempre più partecipi alla cultura italiana, alle tradizioni che i loro padri hanno trasmesso, bisogna in qualche modo coltivarla e darle un punto di riferimento o un contenitore che viene dato dall’informazione, dalla stampa e dalla televisione. 

Antonio Amatulli 

Per quanto riguarda la stampa italiana all’estero, innanzitutto ci troviamo spesso di fronte ad associazioni che anche per ovviare a difficoltà economiche, chiedono dei finanziamenti governativi. Ora questi finanziamenti governativi a volte sono concessi altre volte respinti, comunque sono vincolati al parere delle autorità consolari che si esprimono appunto sulla bontà di questi progetti di finanziamenti. Qui bisogna un attimo capire, o meglio, comprendere, il fatto che la libertà di stampa debba essere tutelata. Vale a dire che questi tuoi pareri che sono necessariamente richiesti sui progetti di finanziamenti presentati, al di là di quelle che potrebbero essere le opinioni personali, politiche, di chi questo parere devi esprimerlo e al di là del fatto di quella che poi potrebbe essere stata la linea politica della testata, tutto questo chiaramente non deve in nessuna maniera entrare nel giudizio. 

Rossana Di Bianco 

Per quanto riguarda questo argomento è veramente molto delicato. Io ho ascoltato in questi giorni diverse comunità, è soprattutto in Africa, alcune delle quali mi hanno rappresentato la difficoltà e anche la loro opposizione nei confronti di Rai International. Effettivamente questo è un discorso che probabilmente loro sentono molto vicino. Probabilmente non trovano sufficiente informazione da parte della Rai che è la televisione statale. Effettivamente c’è bisogno di una riforma anche a livello della stampa estera, perché la stampa estera deve in qualche modo rientrare nella stessa categoria della stampa italiana. Quindi deve esserci libertà di stampa e deve esserci il pluralismo, assolutamente. 

Rocco Papapietro

Per quanto riguarda la stampa all’estero, io credo che fondamentalmente debbano essere rivisti i criteri. Io quando sento le parole opinione, valutazione, un po’ rabbrividisco forse perché la mia stazione ingegneristica mi porta a parlare di numeri. Quindi secondo me prima di finanziamenti dovrebbero rivisti essere rivisti i criteri. Io proporrò dei criteri a crediti. Devono essere la somma dei crediti che deve dare la valutazione relativa al fatto, se o meno la testata ha diritto a ricevere finanziamenti, anche perché nel mio ultimo viaggio in Australia ho raccolto pareri diversi e discostanti sui criteri di valutazione che a volte vengono, tra virgolette, attribuiti a una sola persona. Quindi detto questo, la stampa italiana all’estero dev’essere assolutamente rinforzata. I criteri per il ricevimento dei finanziamenti devono essere rivisti. 

Federico Berchi 

Questa campagna elettorale, mi ha personalmente messo in contatto con i vostri podcast. Io sono un grande ammiratore di quello che state facendo. Ci sono esempi di grande diffusione culturale tra l’altro contestualizzato le tematiche solide sul sito internet. Sarebbe molto bello, secondo me, potenziare la rete dei podcast locali e portarli come buona prassi. Quello che state facendo voi e tanti dei vostri colleghi rappresenta un esempio di attività di grande coraggio che può invogliare anche vivere in area in cui in effetti questi servizi già non ci sono, per cui valorizziamo intanto questa attività che avete voi. Il portale Pass apparentemente contiene tutto quello che è utile per i cittadini italiani. Allora creiamo anche una sezione informativa in cui ad esempio, ci sono canali dedicati alle singole tematiche raggruppate per singole aree. Quella potrebbe essere una buona idea. 

Sandro Fratini 

La stampa e comunicazione italiana all’estero, non dico che è inesistente, ma quasi. I canali Rai sono criptati per parecchi programmi, nonostante non dimentichiamo che ma ci sono molti, molti nostri connazionali che pure dall’estero continuano a pagare il canone in Italia avendo un’altra abitazione. Io conosco comunque testate che ricevono finanziamenti pubblici e in questa fase delle elezioni politiche non hanno dedicato nemmeno un minuto agli argomenti attuali. 

Made in Italy e lavoro italiano nel mondo

Infine, il Made in Italy e il lavoro italiano nel mondo ha considerato la politica del contrasto all’Italian Sounding e di come riconciliare la salvaguardia dei prodotti tipici italiani con le aziende enogastronomiche degli italiani nel mondo che producono all’estero da generazioni e debbono comunque potersi fregiare della loro italianità. 

Rocco Papapietro 

Fondamentalmente questo è un argomento che mi tocca da vicino, perché io mi occupo, anche come imprenditore, di queste problematiche. Quello che vedo sono fondamentalmente due aspetti. Il primo aspetto non è legato solo all’armonizzazione e alla promozione del Made in Italy, ma anche alla cultura e alla bellezza. Questo si può ottenere attraverso la creazione di un ecosistema che comprenda, Camera di Commercio, Italian Trade Commission, ovvero ICE e anche società che si occupano di accompagnare le aziende italiane sui vari territori. Io credo molto in questi progetti di partnership tra pubblico e privato. Poi per quanto riguarda diciamo così, la protezione, dobbiamo fare quello che si chiama un’evoluzione di sistema. 

Nicola Carè 

L’italian sounding sono gli italiani all’estero che producono prodotti, che sono prodotti italiani, ma vengono prodotti all’estero. Bisogna tenere in considerazione a tutto il made in Italy. Il made in Italy comprende il dazio, comprende la difesa, comprende la tecnologia, comprende tantissime altre cose. Un terzo del Pil italiano è composto di export, si esporta. Ora se si ritorna all’italian sounding in Italia, sono dieci anni che l’italia con il sistema Italia, tra cui anche le Camere di Commercio all’estero fanno tutto un programma anche di informazione. Per questo è importante che non soltanto le comunità italiane, ma soprattutto le seconde e terze generazioni capiscono questo processo formativo. 

Federico Berchi 

Questo è un argomento molto importante e molto urgente. È molto urgente davvero, perché ci sono aree in Medio Oriente, in cui il Made in Italy, è già saturo. Io lavoro in Medio Oriente che è una terra di grandi opportunità che sarà il più grande partner commerciale, non solo energetico, anche l’italia avrà nei prossimi anni e c’è una richiesta fortissima di Made in Italy. Non è così in tutte le aree, in tutti i mercati in cui purtroppo sicuramente siamo attivati tardivamente, consentendo anche a competitori disonesti di mangiare fette di mercato. 

Sandro Fratini 

Per non essere ripetitivo, salvaguardare il made in Italy ma allo stesso tempo investire per far conoscere i nostri prodotti. Quindi più partecipazione a fiere e saloni all’estero. L’export non si fa solo dall’Italia, bisogna farlo direttamente sui Paesi. Per giovani, io penso che si debba promuovere e incentivare percorsi formativi, linguistici e professionali presso le università e aziende italiane. Si creerà così un ponte con il mondo del lavoro in uno spirito di reciprocità, dedicare ai giovani italiani le opportunità di analoghi, percorsi formativi all’estero. Una particolare attenzione ai giovani dalla doppia nazionalità, ne abbiamo migliaia, al fine di assicurare loro una piena integrazione nel mondo produttivo, nel contesto sociale. Quindi incentivare scambi e tirocini retribuiti presso aziende italiane e straniere, consentire ai giovani di origine italiana di accedere al sistema produttivo italiano e ai giovani italiani di fare esperienza di lavoro all’estero. 

Francesco Giacobbe 

Made in Italy è stato possibile questo grande livello di export grazie alle comunità italiane nel mondo e questa è una cosa che in Italia bisogna far capire e ricordare a tutti, in tutti i momenti, a tutti i livelli. C’è un problema di riflettere su che cosa significa esportazione del Made in Italy e io ho proposto un cambio di paradigma diversi anni fa già in Parlamento negli enti preposti alla transizione dell’Italia, avanzando l’idea che il vantaggio competitivo che l’Italia nel mondo è quello di essere esperta nell’aggiungere valore ai prodotti primari che poi hanno dato vita alla qualità innovativa del Made in Italy. Ora, questo è che questo vantaggio competitivo, se venisse utilizzato per esportare processi di sviluppo, io penso che potrebbe dare adito a delle partnership, delle joint ventures del progetto di collaborazione con paesi come l’Australia, che sono invece ricchi di materie prime ma non hanno la capacità di aggiungere valore a queste materie prime. 

Clorinda Altrocchi 

Per il made in Italy, il Movimento cinque Stelle difende i nostri marchi da tempo. Faccio l’esempio del Prosecco, perché è una cosa recente. Qualcuno in Croazia ha pensato di registrare il marchio “Prosec” che imita palesemente quello del Prosecco italiano e il ministro Patuanelli si è opposto in Europa e adesso aspettiamo il brevetto. Questo per dire che noi dei Cinque Stelle siamo intransigenti nel difendere il Made in Italy, il DOP, la denominazione di origine protetta va difesa per valorizzare il lavoro degli italiani, anche all’ estero. 

Antonio Amatulli 

Innanzitutto il Made in Italy non è un patrimonio definito da secoli e che è sempre identico a se stesso. È un qualcosa in continua evoluzione. È un qualcosa che si arricchisce anche dal contributo, dagli ingredienti e da ricette di origine straniera. Alla fine, se pensiamo al patrimonio culinario italiano è praticamente fondato su ingredienti che d’italiano hanno ben poco, storicamente. Quindi il Made in Italy, l’eccellenza è un qualcosa che va sicuramente difeso, ma va anche studiato e capito. Soprattutto vanno capite le modalità con le quali si deve poi promuoverlo negli altri Paesi, perché per una promozione efficace, non ha senso piazzare il proprio prodotto, per quanto eccellente, al di là di qualunque valutazione su quella che poi è la clientela dei singoli paesi. 

Rossana Di Bianco 

Noi dobbiamo innanzitutto salvaguardare il Made in Italy dal plagio e allo stesso tempo salvaguardare le nostre medie e piccole imprese all’estero che fanno Made in Italy. Certo, ci sono gli organi che in qualche modo tutelano questi interessi dei nostri connazionali, sicuramente L’ICE l’Istituto del Commercio Estero che già dal 2019 mi risulta che abbia implementato questo settore del Made in Italy attraverso un piano straordinario di promozione del Made in Italy. Noi dobbiamo cercare di continuare questo trend e anche attraverso della formazione e quindi mettere a disposizione dei corsi di formazione per le nostre imprese all’estero, per e far capire loro quali sono le opportunità del Made in Italy.

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