Un peso d’ombra

Un bagaglio meno visibile ma altrettanto ingombrante continua a viaggiare con noi italiani all’estero. Si tratta di quello strano tessuto di relazioni sociali, eredità di un’Italia dove “conoscere qualcuno” vale più di qualsiasi merito e titolo di studio.

“Conosco uno”, “te lo presento io”, “è amico mio” sono frasi che rimbalzano da un bar di Sydney a un ristorante di Toronto, passando per le comunità di Buenos Aires o New York. Non si tratta di semplici frasi comuni, ma rappresentano quasi una lingua franca erede di un sistema antico, fatto di favori che si sommano, di obblighi che si tramandano, di fedeltà silenziose che durano più di un visto di soggiorno.

L’emigrazione italiana non ha esportato soltanto braccia, pizza, pasta e cannoli, ma anche un’idea di società in cui, secondo alcuni, il “capitale sociale”, il potere e il denaro hanno un posto di riguardo. Così che anche nelle Little Italy del mondo, si sono ricreati microcosmi in cui i legami contano più dei curriculum, dove chi ti presenta o l’albero genealogico possono aprire porte o chiuderle.

Il neofita appena sbarcato o chi ha un’idea nuova da proporre alla comunità, viene introdotto con formule quasi rituali: “è amico di Ciccio”, “la moglie ha lavorato per X”. Ogni presentazione è un contratto implicito, il favore che fatto oggi avrà un prezzo da pagare domani. A volte tra anni. 

Da fuori sembra solidarietà. “Voglio aiutare te e la tua famiglia”, mentre da dentro c’è una rete intricata di aspettative e silenzi. Un risultato raggiunto “grazie a una conoscenza” diventa spesso una gabbia. Non si denuncia un sopruso, non si critica il padrone di casa, non si mettono in discussione i patti non scritti. E i debiti morali si ereditano di padre in figlio.

È una dinamica che affonda le radici nella storia italiana, dove per secoli l’assenza di istituzioni forti ha costretto le persone a costruire reti alternative di protezione e scambio. E così, anche nei paesi dove la trasparenza è la regola come l’Australia, gli italiani si sono portati dietro un modo tutto loro di intendere il potere: non come funzione, ma come relazione.

La sfida, oggi, è mettere all’angolo chi ancora crede in sistemi di clientelismo d’altri tempi. Bisogna premiare chi merita, non solo chi è “dei nostri”, al fine di costruire comunità che sappiano valorizzare merito, identità e trasparenza.