Siamo ormai arrivati all’ultima settimana di campagna elettorale australiana e l’unico auspicio è che vinca il migliore. Secondo i sondaggi Newspoll, il voto primario si attesta con 38% Laburisti, 35% Coalizione, 11% Verdi, 6% One Nation, 3% UAP e 7% altri.
Tra dibattiti televisivi e messaggi rilasciati alla stampa, la campagna elettorale, incentrata per lo più su poche tematiche, non ha risparmiato colpi bassi. Morrison ha cercato di dipingere il leader laburista come inesperto e debole, mentre Albanese ha descritto il primo ministro Morrison come un bugiardo incapace di assumersi le proprie responsabilità.
Tra le ultime novità, i liberali vorrebbero reintrodurre multe salate per quegli immigrati illegali che hanno commesso gravi crimini e sono attualmente detenuti nei centri di immigrazione.
I laburisti hanno invece promesso $225 milioni per la salvaguardia della barriera corallina.
Oltre a mobilizzare volontari, scattare fotografie con leader comunitari e offrire marchette elettorali per progetti infrastrutturali nei seggi in bilico, entrambi i maggiori partiti hanno esposto i gioielli di famiglia, chiamando alle armi i famosi leader di un passato non sempre roseo.
I liberali hanno chiesto aiuto al ‘decano’ John Howard, con interviste radiofoniche, presentazioni e perfino il lancio di un documentario sulla vita di Sir Robert Menzies in onda su Foxtel, dove Howard si improvvisa presentatore.
Howard è riuscito a portare la coalizione al governo per oltre un decennio, prima di perdere il proprio seggio oltre che dover subire la maggiore sconfitta nella storia del partito liberale.
I laburisti hanno fatto appello a Kevin Rudd, autore della sorprendente vittoria contro i liberali del 2007.
L’ex-primo ministro è apparso in un video nell’ambito della sfida all’ultimo voto per il seggio di Parramatta, argomentando in perfetto cinese le motivazioni per cui gli elettori dovrebbero votare il candidato laburista Andrew Charlton.
Ma se il silenzio parla più di ogni voce, fuori dalla campagna elettorale sono rimasti Julia Gillard e Malcolm Turnbull, sebbene quest’ultimo abbia espresso critiche contro il governo Morrison sulla politica estera e sui rapporti con la Cina.
Ai partiti minori si guarda per un possibile ‘hung parliament’, nel caso in cui gli schieramenti tradizionali non dovessero raggiungere la soglia dei 76 seggi alla camera, necessari per un governo di maggioranza.
I Verdi potrebbero aggiudicarsi un secondo seggio, questa volta nel Queensland e precisamente nel contesto urbano di Brisbane che si unirebbe all’attuale seggio di Melbourne, roccaforte del leader Adam Brandt.
In casa United Australia Party, il leader Craig Kelly ha riconosciuto che sarà difficile conservare il proprio seggio di Hughes, ma ha promesso di continuare a combattere.
Il partito ‘giallo’ potrebbe rivelarsi determinante per un nuovo Governo Morrison, avendo chiesto ai propri elettori di indicare al secondo o terzo posto nelle schede elettorali la preferenza per i liberali. Per One Nation, Pauline Hanson, regina del sud-est del Queensland e con 25 anni nella vita pubblica, potrebbe farsi strada nelle roccaforti conservatrici regionali, anche se la conquista di un seggio alla camera appare lontana.
Infine, una schiera di indipendenti conosciuti come ‘teal’, per via del colore ‘verde acqua’ che caratterizza i loro manifesti, hanno preso di mira alcuni seggi conservatori, tra cui Wentworth, North Sydney, Kooyong, Goldstein e Curtin.
Molti dei candidati ‘teal’ hanno ricevuto donazioni da Climate 200, un fondo gestito da Simon Holmes à Court, uomo d’affari e attivista politico australiano, che ha raccolto 7 milioni di dollari per sostenere una squadra di candidati in linea con le sue priorità, ovvero maggiore attenzione per i problemi climatici, una commissione di riforme sulle donazioni politiche e politiche a favore dell’uguaglianza di genere.
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