Voice to Parliament

Ora che finalmente abbiamo una data definita per il referendum, si prospetta un momento propizio per avviare i nostri sforzi volti a spiegare il concetto di “Voice to Parliament”. Nel nostro tentativo di ottenere risposte esaustive, abbiamo collaborato con i più autorevoli esperti costituzionali del paese, ponendo una particolare enfasi sulle prospettive delle Prime Nazioni.

La complessità della costituzione australiana e il dettagliato rapporto, che si estende per oltre 220 pagine, delineando il modello della “Voice” attraverso la cooperazione di diverse parti interessate, rappresentano un ostacolo per chi non è profondamente versato nel linguaggio delle politiche pubbliche. Ecco perché il nostro impegno riveste un’importanza cruciale. Spesso ci troviamo nella posizione di tradurre non soltanto le scoperte accademiche per i nostri lettori, ma anche i contenuti dei documenti stessi e le politiche che plasmano le nostre vite.

Di conseguenza, in previsione del referendum che avrà luogo il 14 ottobre, desideriamo condividere alcuni degli articoli che abbiamo redatto per rispondere alle domande più frequenti. Questi articoli si dimostreranno preziosi nel garantire che siamo adeguatamente informati quando giungerà il momento di esercitare il nostro diritto di voto. All’interno delle pagine centrali, troverete uno “speciale” che confidiamo possa dissipare qualsiasi dubbio rimasto.

Tutto quello che c’è da sapere su chi sostiene il Sì

Se al referendum del 14 ottobre prevarranno i Sì, la Costituzione verrà modificata per riconoscere formalmente i popoli aborigeni e quelli delle isole dello Stretto di Torres attraverso la creazione di un nuovo organismo di rappresentanza dei loro interessi nella gestione di questo paese.

Chi sostiene il Sì?

Il Partito Laburista e il Primo Ministro Albanese sono a favore del referendum

Il Partito Laburista, che ha deciso di indire il referendum nel suo primo mandato, è la principale forza politica,  insieme ai Verdi, vari parlamentari indipendenti e un piccolo gruppo di Liberali sostengono la proposta referendaria. 

Il gruppo Yes23 è responsabile della logistica della campagna. Moltissimi gruppi multiculturali e religiosi, grandi aziende tra cui Qantas, Telstra, Rio Tinto e Wesfarmers, più di 20 organismi sportivi tra cui rugby, calcio, AFL e NRL, golf, netball e tennis e altre organizzazioni comunitarie si sono espressi a sostegno del referendum.

La campagna Yes23 sta superando in termini di spesa pubblicitaria tutti gli altri gruppi coinvolti nella campagna referendaria. Nell’ultimo trimestre, gli annunci della campagna “Yes23” hanno registrato cifre  sostanziali con il Nuovo Galles del Sud ($176.952), Victoria ($168.024), Queensland ($156.011), Western Australia ($98.025), South Australia ($73.528) e la Tasmania ($ 26.739).

Le personalità più importanti del Sì

Il sindacalista comunista Thomas Mayo

Il direttore della campagna Yes23 è Dean Parkin del Queensland. Alcuni dei suoi principali attivisti includono il sindacalista comunista Thomas Mayo, l’anziana indigena Pat Anderson, la regista Rachel Perkins e l’ex presidente dell’Assemblea delle Prime Nazioni del Victoria, Marcus Stewart. Le figure di spicco coinvolte nella concezione della Voce includono Noel Pearson, l’avvocato costituzionale Megan Davis e l’accademica Marcia Langton. 

L’anziana aborigena “Zia” Pat Anderson

Nel mondo politico, il primo ministro Anthony Albanese insieme al ministro per gli indigeni australiani Linda Burney sono tra i maggiori esponenti politici in favore dell’emendamento costituzionale che dovrebbe generare nuove idee in materia di sanità, istruzione, lavoro e l’emergenza abitativa per gli aborigeni.

Ministro per gli indigeni australiani, Linda Burney 

Cosa succede se vince il Sì?

Se la maggioranza di tutti gli elettori in tutta l’Australia, così come la maggioranza degli elettori nella maggioranza di almeno quattro su sei stati voterà a favore, nella Costituzione verrà inserito un nuovo capitolo che recita:

“In riconoscimento dei popoli aborigeni e isolani dello Stretto di Torres come i primi popoli dell’Australia: (i) ci sarà un corpo, che sarà chiamato la Voce degli Aborigeni e delle Isole dello Stretto di Torres; (ii) la Voce degli Aborigeni e degli Isolani dello Stretto di Torres può presentare rimostranze al Parlamento e al Governo Esecutivo del Commonwealth su questioni relative alle popolazioni aborigene e degli isolani dello Stretto di Torres; (iii) il Parlamento, nel rispetto della presente Costituzione, avrà il potere di legiferare su questioni relative alla voce aborigena e isolana dello Stretto di Torres, compresa la sua composizione, funzioni, poteri e procedure.”

Le ragioni del Sì

Le ragioni del sì al referendum si riconoscono nei concetti di rispetto e riconoscimento. Il campo del Sì vuole il riconoscimento del popolo delle Prime Nazioni nella Costituzione, affermando che non è più accettabile che l’Australia sia uno dei pochi paesi colonizzati al mondo a non riconoscere i popoli indigeni nel suo documento fondatore.

I sostenitori affermano che lo stato attuale degli affari indigeni e del processo decisionale non può continuare e che per cambiare le cose, gli aborigeni e gli isolani dello Stretto di Torres dovrebbero avere voce in capitolo sulle questioni che riguardano le loro vite.

Per un processo decisionale migliore e più coerente, affermano che i governi dovrebbero consultarsi con un organismo rappresentativo sulle leggi e le politiche che riguardano le popolazioni delle Prime Nazioni.

La proposta di riconoscimento e di rispetto si basa su una Voce contemplata nella carta costituzionale, ovvero un organismo permanente che non può essere rimosso senza un altro referendum. Il campo del Sì afferma che la Voce è un modo per combinare il simbolismo del riconoscimento con un’azione tangibile sotto forma di un organo consultivo.

Tutto quello che c’è da sapere su chi sostiene il No

Se al referendum del 14 ottobre prevarranno i No, la Costituzione rimarrà inalterata. Il governo può comunque approvare una legge ordinaria in Parlamento che riconosce formalmente le popolazioni indigene ed istituisce la Voce come organo di rappresentanza degli Aborigeni delle popolazioni dello Stretto di Torres, senza emendare la carta costituzionale.

Chi sostiene il No?

Leader dell’opposizione Liberale, Peter Dutton

I partiti Liberale e Nazionale sono contrari al referendum, anche se alcuni parlamentari federali non sostengono la posizione prevalente della Coalizione. La principale campagna No è ​​sostenuta dal gruppo Advance sotto la slogan di “Australiani per l’unità”. Chris Merritt, vicepresidente dello Rule of Law Institute of Australia, era inizialmente a favore di una voce al parlamento, ma non è d’accordo con il modello proposto per il referendum. 

David Littleproud, leader dei Nazionali

Una parte della comunità indigena di sinistra, guidata dalla senatrice indipendente Lidia Thorpe, ha formato un cosiddetto “gruppo progressista per il No” perché ritiene che la Voce avrebbe poco potere per migliorare le condizioni economiche e sociali degli indigeni.

La spesa pubblicitaria del No è stata finora decisamente più modesta e si concentra sugli stati del Queensland ($33.652), Western Australia ($27.234) e South Australia ($16.6712).

Le personalità più importanti del No

L’ex-presidente del Partito Laburista e portavoce del No, Warren Mundine

La principale campagna No è ​​sostenuta dal gruppo di Advance sotto la bandiera di “Australiani per l’unità”, sostenuto dall’ex-presidente del Partito Laburista Warren Mundine e dalla portavoce dell’opposizione per gli indigeni australiani Jacinta Nampijinpa Price. Entrambi i personaggi di spicco del No sono indigeni e hanno preso parte come membri di passati organismi di rappresentanza simili alla Voce.

La senatrice Jacinta Nampijinpa Price

Altri importanti sostenitori del No il leader del partito liberale Peter Dutton e il leader dei nazionali David Littleproud. Dutton ha dichiarato di sostenere una misura costituzionale che riconosca gli indigeni australiani, ma non una misura che crei un organo di rappresentanza sancito dalla costituzione. I nazionali invece, si sono detti contrari al riconoscimento costituzionale, anche senza la Voce. A sostenere il No è anche il partito di Pauline Hanson, One Nation.

La senatrice indigena Lidia Thorpe ha dato vita al gruppo No “progessista”

Esiste anche un fronte denominato No “progressista”, sostenuto dalla senatrice indipendente Lidia Thorpe, la quale non sostiene la proposta di Voice ma ha ragioni diverse rispetto alla campagna No del gruppo Advance.

Cosa succede se vince il No?

Se viene meno la maggioranza di tutti gli elettori in tutta l’Australia, così come la maggioranza degli elettori nella maggioranza di almeno quattro su sei stati, il testo della Costituzione rimarrà inalterato.

Le ragioni del No

Il campo del “No” ha sollevato alcune preoccupazioni in merito al clima di divisione, il potere di interpretazione costituzionale del testo da parte dell’Alta Corte e l’incertezza legata agli sviluppi necessari di conseguenza al referendum.

I sostenitori del “No” credono che una Voce esclusiva per gli Aborigeni e gli abitanti dello Stretto di Torres sia “divisiva” in una nazione diversa e multiculturale come l’Australia.  

Affermano inoltre che modificare la costituzione vuol dire dare adito a costosi e irragionevoli ricorsi legali presso l’Alta Corte, che ha competenza esclusiva di interpretazione della costituzione. Invece di aprire le porte a possibili costosi ricorsi in tribunale, si dovrebbe investire in servizi per le popolazioni indigene a livello locale e dare maggiore voce agli anziani delle comunità remote.

Alcuni propositori del No lamentano l’assenza della legislazione che dovrebbe governare la composizione, i poteri e le funzioni dell’organismo della Voce prima che gli australiani si rechino alle urne. Gli australiani sono chiamati ad esprimersi sulla base di un testo che rimanda al parlamento il potere di decidere su come la Voce verrà articolata, incluso il numero di membri, il metodo di elezione e i costi di funzionamento.

I sostenitori del No “progressista” credono che la proposta della Voice non sia sufficientemente ampia perché l’organismo sarà solo consultivo e non avrà alcun potere decisionale o di veto sul parlamento. Gli stessi non credono che gli indigeni australiani debbano essere riconosciuti nella costituzione, interpretato come un documento coloniale.

La piattaforma “progressista” del No chiede si lavori per un Trattato con le popolazioni indigene prima di istituire la Voce, perché ritiene che l’esistenza di un documento tra indigeni e non-indigeni potrebbe migliorare la vita degli indigeni australiani.

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