Famiglia nei boschi. Procura chiede l’affidamento dei figli

di Emanuele Esposito

«La coppia è autosufficiente e vive di commercio, ma ritiene la società malata e vuole educare i bambini nella natura», spiega l’avvocato della famiglia. 

Tre bambini che vivono insieme ai loro genitori nei boschi vicino a Vasto rischiano di essere affidati ai servizi sociali.  La Procura dei minori dell’Aquila ha chiesto la sospensione della responsabilità genitoriale, ritenendo non adeguate le condizioni in cui crescono i piccoli: senza scuola, senza visite pediatriche e in una casa priva dei servizi di base.

La famiglia, di origine australiana, ha scelto volontariamente questa vita isolata, lontana dai ritmi della società e dal suo modello di consumo.  Non per abbandono o incuria, ma per convinzione: una scelta di libertà, di ritorno all’essenziale, di educazione naturale. Il caso era emerso dopo un episodio di intossicazione alimentare: tutti e cinque erano stati ricoverati in ospedale per aver mangiato funghi velenosi raccolti nel bosco.

 In quell’occasione, i carabinieri avevano scoperto la loro abitazione: una vecchia casa colonica senza elettricità, con un piccolo impianto fotovoltaico installato dal padre, servizi igienici esterni e materassini in una roulotte.  

 Le relazioni dei servizi sociali hanno segnalato carenze igieniche e sanitarie, oltre all’assenza di un percorso scolastico.

Era stato proposto ai genitori un piano educativo e abitativo alternativo, ma dopo una breve adesione, la famiglia è tornata a vivere nel bosco. I genitori difendono la loro scelta, parlando di un’educazione libera e non conformista, lontana da quella che definiscono “una società malata”. Hanno anche presentato documenti economici e un certificato di idoneità scolastica per la figlia maggiore. Tuttavia, secondo la Procura, questi elementi non sarebbero sufficienti a garantire sicurezza e benessere ai bambini.  Dopo mesi di tentativi di mediazione, la situazione è rimasta invariata.

 Per questo, la Procura per i minorenni ha chiesto che i tre piccoli vengano affidati temporaneamente ai servizi sociali e che sia sospesa la potestà genitoriale. Oggi la famiglia continua a vivere come sempre, tra gli alberi e il silenzio dei boschi abruzzesi. 

Il tribunale deciderà se quei bambini potranno restare con i loro genitori o se verranno portati via. Dietro questa vicenda si nasconde una domanda più profonda: fino a che punto lo Stato può decidere come debba vivere una famiglia?

È davvero pericoloso crescere i propri figli nella natura, senza televisione, supermercati e consumo compulsivo?  O è più dannoso esporli quotidianamente all’inquinamento morale, al bullismo digitale, all’apatia sociale e a un sistema scolastico sempre più distante dalla vita reale? 

Certo, il diritto dei bambini alla salute e all’istruzione è sacrosanto.  Ma lo è anche il diritto dei genitori a educarli secondo i propri valori, se non vi è abuso, violenza o trascuratezza.

L’autosufficienza, la semplicità e il contatto con la terra non sono un crimine. Sono, semmai, un atto di coerenza e di coraggio in un’epoca di conformismo. 

In questa storia non c’è degrado, ma scelta. Non c’è abbandono, ma libertà. E forse è proprio questo che disturba un sistema che fatica a comprendere chi sceglie di non appartenervi.