Il caso del Generale Roberto Vannacci

Contra Verbosos Noli Contendere Verbis: Sermo Datur Cunctis, Animi Sapientia Paucis. (Non perdere tempo a combattere con gli sciocchi: la parola è concessa a tutti, ma la sapienza a pochi). Marco Porcio Catone. (Lo stesso di “Carthago Delenda Est”).

Il generale Roberto Vannacci nasce a La Spezia, 20 ottobre 1968, ha studiato all’Accademia di Modena, già comandante della Task Force 45 durante la Guerra in Afghanistan. Ha ricoperto i ruoli di comandante del 9º Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, comandante della Brigata Paracadutisti “Folgore” e comandante del contingente italiano nella Guerra civile in Iraq. Il suo medagliere è imponente. Vannacci ha tre lauree di livello magistrale: in Scienze Strategiche (conseguita presso l’Università degli Studi di Torino), in Scienze Internazionali e Diplomatiche (presso l’Università di Trieste) e in Scienze Militari (presso l’Università di Bucarest).

Ha conseguito, inoltre, il Master universitario di II livello in Scienze Strategiche presso l’Università di Torino e il Master di II livello in Studi Internazionali Strategico-Militari in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e l’Università LUISS di Roma. Sempre al comando di unità di Forze speciali, Vannacci ha partecipato a numerose operazioni militari. Da comandante di distaccamento operativo incursori prende parte alle operazioni in Somalia, Rwanda e Yemen. In particolare, durante la missione in Somalia, ha partecipato a operazioni speciali (denominate “Hillac”) finalizzate al sequestro dei depositi di armi e alla neutralizzazione dei miliziani di Mohammed Farah Aidid, noto come signore della guerra somalo. Nel 1994 Vannacci comanda uno dei due distaccamenti incursori incaricati di evacuare i civili italiani (e non solo) dal Rwanda, sconvolto dalla guerra civile (Operazione Ippocampo).

È stato impiegato in Bosnia Erzegovina nella zona di Pale, sede del Parlamento della Republika Srpska e ancora dimora di Radovan Karadžić, in qualità di comandante di Compagnia incursori. Tornato in Afghanistan, nel 2013, poco prima della transizione da ISAF a Resolute Support Mission (Operazione Sostegno Risoluto), Vannacci assume l’incarico di capo di stato maggiore delle Forze speciali della NATO (ISAF SOF HQ): si impegna nell’organizzazione dell’articolato Comando e nell’approvazione delle delicate operazioni che hanno visto il coinvolgimento di tutte le Forze speciali dell’Alleanza Atlantica. In riconoscimento dei risultati conseguiti, Vannacci è stato decorato dalle autorità statunitensi della Bronze Star Medal. Dal 2011 al 2013, Vannacci comanda il 9º Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. In seguito, dal 2014 al 2016, ha assunto l’incarico di capo ufficio relazioni internazionali presso il III Reparto dello Stato Maggiore della Difesa, dove ha consolidato la rete di cooperazione internazionale militare tra l’Italia e le nazioni alleate e amiche.

Nel 2016, promosso generale di Brigata, Vannacci assume il comando della Brigata Paracadutisti “Folgore”. Durante tale incarico, ha aggiornato tutte le procedure tecnico-tattiche-aviolancistiche della Grande unità. Vannacci è stato al centro di un acceso dibattito in merito all’esposizione dei militari italiani ai rischi durante il comando della missione Prima Parthica in Iraq (2017-2018), il Generale Vannacci ha presentato due esposti alla Procura militare e alla Procura ordinaria di Roma denunciando gravi e ripetute omissioni nella tutela della salute del contingente italiano.

Sulla vicenda, il tenente colonnello incursore (Aus.) Fabio Filomeni ha pubblicato un libro dal titolo Baghdad, Ribellione di un Generale che ripercorre gli avvenimenti vissuti in prima persona durante la missione in Iraq in qualità di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione del contingente. Il generale Vannacci, nominato datore di lavoro negli ultimi mesi del suo comando in Iraq ha denunciato il pericolo di esposizione alle particelle di uranio impoverito all’interno del suo Documento di valutazione dei rischi (DVR) smentendo, de facto, i vertici del Ministero della Difesa che, per anni, hanno sostenuto l’inesistenza di tale minaccia per la salute. Il suo posizionamento al Istituto Geografico Militare (dal quale è stato rimosso da on. Crosetto, che si è basato solo sulle distorsioni del giornale Repubblica, specializzato in questo genere di servizi) appare come una punizione. Un uomo con un tale Cursus Honorum avrebbe meritato ben altro. Forse è per questo che il generale ha voluto tirare un sasso in piccionaia, pubblicando il suo esplosivo libello?

Riportiamo l’ultimo capitolo del suo libro, nel quale riassume il suo pensiero:

CAPITOLO XI “L’ANIMALISMO”

“Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro”. George Orwell Quando mi sono proposto di affrontare l’animalismo volevo trattarlo all’interno della grande tematica dell’ambientalismo perché, effettivamente, si tratta sempre di una questione molto sentita che ha attinenza con la difesa della natura e dell’habitat che ci circonda. Riflettendo, poi, sulla particolare piega che ha preso l’argomento, sulla sua rilevanza e sull’incidenza che provoca sul Mondo al Contrario mi sono convinto di articolare la questione in un capitolo dedicato.

Sì, perché da quando esiste il sapiens gli animali fanno parte della nostra vita, ne hanno sempre favorito e condizionato lo svolgimento diventando un elemento insostituibile per lo sviluppo e per la sopravvivenza stessa del genere umano. Se ci pensiamo, sono rare le opere artistiche che ci sono state tramandate sin dall’antichità che non ritraggano animali rigorosamente a fianco a uomini. […] L’uomo, rispetto alle altre specie, si distingue inequivocabilmente per l’intelligenza che gli ha permesso di progredire e di guadagnarsi la vetta della piramide sia alimentare che evolutiva.

Questo fattore non esime il genere umano dalla necessità di continuare a lottare quotidianamente per la sopravvivenza, come ogni animale o vegetale del pianeta, ma gli ha permesso la conquista del benessere e della prosperità anche a spese di ciò che lo circonda. Il sapiens ha la grande colpa di essere stato la specie indubbiamente dominante degli ultimi 50.000 anni la cui evoluzione si è basata sullo sfruttamento dell’ambiente e sulla capacità di piegare le leggi della Natura in proprio favore. Anche se la parola non piace è sicuramente appropriata perché l’uomo sfrutta, come lo fanno tutti gli altri esseri del pianeta che cercano di massimizzare le qualità insite nella propria natura, anche collaborando tra di loro, per prevalere e per allargare i margini della propria capacità di sopravvivenza. Per l’uomo, quindi, gli animali rientrano in questo costrutto e sono stati da sempre utilizzati come fonte di cibo, di energia, di materie prime e di specifiche abilità.

Ora, nel progredito occidente il paradigma sembra cambiare e, nel pianeta sottosopra, molte anime sensibili sono infastidite dalla distinzione tra uomo e animale perché, con l’assurgere di una mentalità falsamente inclusiva, odiosamente omogeneizzante ed ipocritamente antidiscriminatoria, si tende a limare all’inverosimile tutto ciò che evidenzia le anche palesi diversità tra un essere ed un altro. Così come uomo e donna sono uguali, e le apparenti differenze percepite non rappresentano che una mera, effimera e perversa “costruzione sociale”, le bestie assurgono ad avere caratteristiche umane, diventano portatrici di diritti a loro rigorosamente attribuiti dall’uomo, hanno una loro coscienza e cultura e vengono incluse nei nostri nuclei familiari alla stregua dei bambini.

Ce ne dobbiamo fare una ragione: l’uomo non è uguale alla donna; la bestia non è uguale all’uomo così come un pesce non è uguale ad un mammifero, ad un uccello o ad un insetto: il comunismo cosmico non esiste e il tentativo di teorizzarlo rapsi tratta di pareri ma di leggi dell’Universo perché, contrariamente a quanto affermano i sostenitori della parità delle forme di vita naturali, la Natura per prima è fortemente specista: mette in competizione tutte le diverse creature affinché, vincendo spietatamente quella che più si adatta alle condizioni ambientali del momento, venga garantita la continuità della vita tramite l’evoluzione e l’adattamento. Si chiama “antagonismo” ed è quella relazione che si stabilisce quando un organismo trae beneficio dal danno che causa ad un altro essere. Esso può avvenire sia all’interno della stessa specie – sotto forma di cannibalismo, infanticidio o lotta all’ultimo sangue tra fratelli e sorelle – sia fra specie diverse – sotto la forma della predazione e del parassitismo.

La verità sulle leggi della Natura a cui sono soggetti gli animali selvatici è molto diversa da quella che s’immaginano molte persone e, soprattutto, gli animalisti più incalliti. Quello che ci viene propinato è che la fauna viva felice e serena in una sorta di Eden paradisiaco finché rimane in un ambiente non contaminato dall’uomo. In realtà, la maggior parte degli animali selvatici muore poco dopo essere venuta al mondo, e la loro vita contiene poco più del dolore della loro morte. […] La coscienza ecologista e il rispetto della Natura e degli animali hanno proprio a che fare con questo principio di salvezza: essendo un tutt’uno con ciò che lo circonda ed avendo finalmente sviluppato questa consapevolezza – complice anche l’esponenziale crescita della popolazione mondiale – l’uomo si è reso conto che non potrebbe sopravvivere e prosperare se degradasse oltremodo l’ecosistema.

Diventa quindi cruciale raggiungere un equilibrio tra incremento del benessere umano e preservazione dell’ambiente che consente questa prosperità. […] Al riguardo, pur non essendo un entusiasta nel definire l’essere umano come la creatura necessariamente superiore a tutto ciò che lo circonda, non ho dubbi nell’attribuire un indiscusso maggiore valore alla vita umana rispetto a quella di qualsiasi altro animale. Le ventimila nutrie ed i molti tassi, volpi, e istrici, i cui numeri non sono stati “contenuti” e hanno scavato le gallerie corresponsabili del cedimento degli argini durante l’ultima alluvione della Romagna non valgono, neanche lontanamente, una sola delle 15 vite umane che purtroppo sono andate perse durante la recente calamità. A dire la verità, non valgono neanche i miliardi di danni materiali che l’esondazione ha causato e che distoglieranno fondi che avrebbero potuto essere destinati a uomini poveri che non se la passano bene.

Se per costruire una strada che migliorerà la vita dei residenti e diminuirà l’inquinamento cittadino è necessario sloggiare i nidi di passeri e falchi e disturbare il quieto intercedere di rospi e tritoni sono convinto che l’opera debba essere realizzata, magari integrando tutti quegli accorgimenti per mitigare l’impatto sulla fauna e sulla flora. Mi oppongo categoricamente alla distruzione delle dighe dalle quali ricaviamo energia elettrica pulita per consentire il libero accesso a salmoni, trote, anguille ed altri pesci che risalgono la corrente. […] Un chiaro esempio di quanto asserito è l’invasione dei cinghiali, i cui nefandi effetti si sono manifestati tra la fine del 2022 e l’inizio di quest’anno, e che ha fomentato un altro teatro di scontro tra l’animalismo più ideologico ed il sano buonsenso.

Il fatto incontrovertibile è che la popolazione di questi ungulati in Italia è cresciuta a dismisura nell’ultimo decennio comportando malaugurate conseguenze nei settori dell’agricoltura, della salute e della sicurezza. Da tempo gli agricoltori si lamentano dei danni che le intere famiglie di maiali selvatici causano alle coltivazioni andando ad erodere i margini già minimali di profitti che l’attività agricola garantisce. La sovrappopolazione della specie ha portato, inoltre, al diffondersi e al moltiplicarsi di malattie, come la peste suina e la tubercolosi, che rischiano di essere trasmesse anche agli allevamenti di suini domestici che, per questa ragione, devono essere isolati totalmente dall’ambiente esterno. […] Quello che invece è da evidenziare è che il rispetto degli animali e della Natura è direttamente proporzionale alla ricchezza. Più siamo benestanti e più ci occupiamo del prossimo e abbiamo tempo per dedicarci ad altre attività che non siano attinenti alla mera sopravvivenza.

Nei paesi poveri le foreste vengono bruciate per far posto ad attività produttive, a coltivazioni di palme da cui si ricava olio, a pascoli e gli animali selvatici vengono uccisi senza remore se non giudicati necessari per l’accrescimento della prosperità. Le proteste degli animalisti si dovrebbero trasferire in Brasile, in Cina, in Bangladesh, in Cambogia in Indonesia poiché l’animalismo, come l’ambientalismo, il vegetarismo e molte altre preoccupazioni moderne, è figlio del benessere e dell’agiatezza superflua che l’uomo si è conquistato proprio anche sfruttando gli animali e la Natura. Tutte queste nuove tendenze sono possibili grazie alla ricchezza: non ho incontrato neanche un animalista in Somalia, in Iraq, in Costa d’avorio, in Libia o in Afghanistan, dove agnelli e capre vengono sgozzati per strada e dove la presenza di carne sulle tavole è solo saltuaria e, per questo, motivo di festa.

Quindi, se dovessimo assumere decisioni che facessero diminuire il nostro grado di prosperità rischieremmo di arrecare danno alla Natura stessa invece di proteggerla. […] In ultimo, vi è il paradosso dei paradossi: se tutta la popolazione umana diventasse vegana, seguendo le auspicate degli animalisti e mantenendo in vita fino alla loro morte naturale tutti gli animali della zootecnia, la superficie terrestre attualmente dedicata all’agricoltura non basterebbe più per sfamare bestie e sapiens. Eliminando gli alimenti di origine animale, inoltre, dovremmo cibarci ancora più di cereali, soia, e surrogati della carne sui quali, non a caso, le stesse Multinazionali odiate dagli ambiento- animalisti stanno investendo alacremente perché intravedono grandi guadagni in futuro. L’abbandono degli allevamenti porterebbe, inoltre, ad una perdita della biodiversità che nei pascoli si mantiene grazie al calpestio e al brucare dei ruminanti.

Al contrario di quanto sostengono gli amanti dei quadrupedi un mondo vegano non migliorerebbe affatto la condizione degli animali che morirebbero in natura per malattie, infezioni o tra mille sofferenze conseguenti all’attività predatoria ma, in compenso, ci porterebbe verso il degrado ecologico, l’incremento dell’industrializzazione e il dilagare della povertà. […] Insomma, basta usare gli animali, noi umani la dobbiamo smettere ed è venuto il momento di lasciarli in pace rinunciando semplicemente a tutti i vantaggi che negli ultimi 10.000 anni si sono basati anche sullo sfruttamento della fauna oltre che dell’ambiente in generale. Il fenomeno, tuttavia, sarebbe più che trascurabile se rientrasse nella sfera della pura e libera espressione delle proprie opinioni che, proprio perché frutto del libero pensiero, meritano sempre rispetto anche quando rappresentano delle idee inverosimili e contraddittorie.

La libertà d’opinione, insieme all’uguaglianza formale, è alla base della nostra civiltà giuridica, della nostra libertà e, persino del nostro benessere, perché non avremmo avuto progresso tecnologico senza libertà di pensiero e di ricerca scientifica. D’altra parte, le pagine di alcuni social, blog e di certi siti del web sono popolate dai commenti di centinaia di sostenitori dei fatti e delle cospirazioni più assurde che spaziano dalle scie chimiche ai rapimenti da parte degli alieni includendo il terrapiattismo e la stregoneria. […]

Entriamo nell’ambito dello scabroso, poi, quando udiamo le notizie di alcune neo-mamme che, convinte delle loro idee rivoluzionarie circa l’alimentazione umana ed in contrasto con qualsiasi indicazione medica, impongono ai loro inconsapevoli neonati una dieta totalmente vegana riducendo i poppanti in fin di vita. Il carattere impositivo delle richieste, inoltre, traspare prepotentemente dalle istanze di alcuni genitori che vorrebbero un’alimentazione vegana per i loro pargoletti che vanno a scuola ma non sono soddisfatti della semplice possibilità di scelta fra cibi che non contengono carne… No, vorrebbero che nessuno la mangiasse, la carne, per non fare sentire i loro piccoli vegani discriminati. Della stessa caratura la vera e propria operazione psicologica messa in atto, ormai regolarmente, a ridosso della Pasqua.

Su tutte le piattaforme dominano immagini di timidi agnellini trucidati a colpi di mannaia e tendenti generare un senso di colpa collettiva e a dissuadere il pubblico più vasto ed impressionabile dal cibarsi di carne ovina, come una tradizione millenaria vorrebbe. Come se cibarsi di un agnello fosse più crudele che mangiare un’ostrica che, peraltro, s’ingerisce viva. Non ti piace il circo? Non andarci! Ritieni che cibarsi di carne sia oltre che crudele anche insalubre? Mangia rucola e rapanelli! Non ti piace la caccia? Non praticarla e non comprare prodotti che possano provenire dall’attività venatoria! Pensi che allevare una mucca per il suo latte sia più improponibile che confinare un cane tra quattro mura domestiche e portarlo a spasso al guinzaglio?

Rimpiazza i latticini con la soia! Eh no, troppo semplice, non lo deve fare nessuno! […]

Nel Belpaese, il numero di animali domestici supera quello degli stessi abitanti. Nel privilegiato Occidente, mentre si rinviano sempre più in là i matrimoni e si concepiscono sempre meno figli si predilige la compagnia degli amici a quattro zampe. All’avvicinarsi dell’estate, poi, si incrementano gli appelli e le giustissime invocazioni a non abbandonare gli animali, ma quello che a me fa riflettere è che le stesse animose campagne non vengono condotte per contrastare l’abbandono dei nostri anziani, padri o nonni alla loro misera sorte o, quando va bene, al loro parcheggio in squallide case di cura. […]

Dal canto mio adoro gli animali, li rispetto dal profondo e credo che vadano difesi e preservati come esseri del Creato, ma sono altrettanto convinto che tra la specie umana e le bestie sussistano differenze sostanziali che rientrano nell’ordine naturale delle cose: se permettete vengono prima gli uomini. Sono altrettanto convinto che se questo ragionamento lo facesse un polpo o un ragno gli octopodi e gli aracnidi sarebbero al vertice della piramide delle preoccupazioni.

Gli allevamenti sono necessari, ma non per questo si devono trasformare in luoghi di sofferenza; l’abbattimento deve avvenire procurando il dolore minore per le bestie; bene la caccia, purché sia regolamentata e al solo scopo di alimentazione anche perché il cacciatore è solitamente il primo che preserva gli ecosistemi; avanti con le sperimentazioni sugli animali quando si rendono necessarie e solo dopo aver superato le prescrizioni dei comitati etici; nessuna limitazione agli animali domestici purché non siano molesti e pericolosi, non invadano i luoghi pubblici e non interferiscano con le libertà di chi non si sente a proprio agio in prossimità dei pelosi. Nulla di strano, quindi, semplice ragionevolezza, buonsenso e moderazione che in un mondo in cui le minoranze tendono a prevaricare le moltitudini sembrano costituire sempre più una rarità.

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