Il PD del terzo millennio o sarà un partito di valori o non sarà!

L’opinionista e politico popolare, Giorgio Merlo, appena qualche giorno fa, ha aperto la discussione su un tema che sta a cuore a molti con un articolo pubblicato sull’Huffington Post dal titolo: “Tornano nel Pd i cattolici indipendenti di sinistra?” Dopo la disfatta alle recenti elezioni politiche, il Partito Democratico sembra virare senza indugi verso sinistra, abbandonando lo storico centro per magari congiungersi quanto prima con le cellule progressiste di tipo populista, liberticida e anti-sistema o con i “rossi per caso” dei 5 Stelle.

Dice bene Merlo, “non è questa l’eredità che abbiamo ricevuto dal magistero dei grandi leader e statisti del pensiero popolare, cattolico sociale e cattolico popolare del passato,” che nel PD dei tempi antichi hanno portato a testa alta con loro nella “casa comune” le storie del popolarismo e del cristianesimo-democratico.

Con il congresso del PD ormai vicino e i candidati alla segretaria pronti a scendere in campo, o i democratici tornano a parlare di una visione per l’Italia radicata su valori ampi e condivisi dalla maggioranza del Paese o insieme agli ideali post-comunisti imbrattati di personaggi radical- chic, perirà senza possibilità di rinascita. E neppure si può pensare che sia sufficiente raggruppare uno sparuto numero di centristi a supporto di Stefano Bonaccini, un giovane comunista che si candida a segretario del PD con lo slogan “energia popolare.”

Alle soglie del Terzo Millennio, il polacco Karol Wojtyla – che oltre ad essere Papa era anche un grande conoscitore della politica – ebbe a riprendere una celebre frase di uno dei padri fondatori dell’Europa unita, Robert Schuman, il quale dichiarò: “L’Europa o sarà cristiana o non sarà”.

Tanto per Schuman quanto per Wojtyla, ma anche per Sturzo, De Gasperi e Moro, la grandezza di un popolo pieno di diversità, che ignorando le proprie radici era giunto per autodistruggersi in conflitti di scala mondiale, non stava soltanto nella rinascita economia e nel benessere dell’era post-bellica, ma passava attraverso una schiera di valori, quelli giudeo-cristiani, fondanti di una civiltà e di un’identità laica e non confessionale, rappresentativi della più ampia società, contro gli abusi, i totalitarismi e la deriva antidemocratica. Con questi valori contenuti nella Costituzione i democratici devono poter dialogare e riconoscersi.

Perché il PD non può tornare a parlare di famiglia e non di gender, di lavoro e non di amicizie, di scuola e non di indottrinamento, di politica internazionale e non di finti pacifismi, dei problemi quotidiani della gente e non degli affari di un gruppetto ristretto di conoscenti, della dignità della persona umana e non solo delle minoranze? La vittoria di Giorgia Meloni – “madre, italiana, cristiana” – obbliga il campo democratico ad una scelta: aprirsi alle realtà e ai valori fondanti della maggioranza del paese oppure vedersi relegato ad uno stabile 15% di opposizione. Da partito minoritario ritornerà ad essere attorniato da una galassia di finti alleati pronti a tirare la coperta fino a strapparla e far cadere un possibile governo, semmai possa nascere – come accadde nel 2008 con il Governo Prodi e con gli inaffidabili “franchi tiratori” nel 2013.

E se il “vero Ulivo” – quello del 1996 – ebbe successo lo si deve all’opera di bilanciamento del centro-sinistra (con il trattino), a cui i popolari e i democristiani contribuirono grazie a figure di alto profilo morale come Franco Marini, Sergio Mattarella e Beniamino Andreatta. Furono costoro a portare la tradizione di governo e del buon senso verso la sinistra, a non rinnegare la storia che li aveva formati come uomini di stato. Non può quindi esistere un PD senza un’anima di ispirazione cristiana, democratica e popolare.

Ad un nuovo gruppo di “liberi e forti” l’onere di provarci, partendo dai territori, dai circoli e dalle periferie del mondo.

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