di Marco Testa
Gustavo Petro non si accontenta di fare il presidente della Colombia: vuole essere tribuno e come dice lui “cittadino del mondo.” A questo aggiungiamo anche agitatore di piazza e, quando serve, perfino “cittadino italiano.”
Già, perché tra proclami di violenza all’ONU e comizi in cui invita i soldati americani a disobbedire agli ordini, il leader colombiano ha trovato pure il tempo di ricordare che possiede la cittadinanza italiana e che quindi non ha bisogno di un visto per recarsi negli Stati Uniti. Un dettaglio che suona come un avvertimento: “non potete toccarmi, io ho un altro passaporto”.
Questa è la vera distorsione e lo schiaffo a chi la cittadinanza ius sanguinis l’ha avuta interrotta. Grazie a personaggi come Petro, la cittadinanza italiana viene trasformata in scudo personale, in lasciapassare politico, in arma polemica. Petro non la evoca come appartenenza culturale, linguistica o come legame con una comunità. Non sa neanche da dove vengono i suoi antenati, “da vicino Milano”. Eppure la sventola come un salvacondotto, un pezzo di carta da brandire quando le sue parole superano il limite della responsabilità.
E intanto, mentre invoca eserciti globali e incita alla ribellione armata, getta benzina sul fuoco di conflitti che hanno già prodotto troppe macerie. Un capo di Stato che si rivolge ai militari stranieri chiedendo di disobbedire non è un visionario della pace: è un agitatore che legittima la violenza in nome della sua agenda ideologica.
Ma, udite udite, arriva anche la smorfia da offeso: “la restituisco”. Sì, avete capito bene: “rinuncerò pubblicamente alla cittadinanza italiana” se l’Europa non condannerà Israele a sufficienza.
Uno altro sfregio simbolico da mostrare ai suoi critici, una diatriba pubblicitaria dove lui veste i panni dell’eroe “cittadino italiano” che purifica sé stesso dalle catene europee.
Il problema non è solo Petro. È il messaggio che manda: la cittadinanza italiana può essere usata come strumento politico da chiunque voglia alzare i toni e poi ripararsi dietro un passaporto europeo? È inaccettabile. L’Italia non può restare spettatrice mentre il suo nome viene piegato a retoriche populiste e a strategie di divisione internazionale.
La cittadinanza è un diritto, certo, ma anche un dovere di responsabilità e lealtà verso i valori democratici. Chi la usa per farsi scudo mentre incita alla disobbedienza e alla violenza, la tradisce. E tradisce anche noi.
