Un recente articolo pubblicato dall’Agenzia Internazionale Stampa Estero batte ancora sul Made In Italy, ignorando che il vero propulsore dell’esportazione dei prodotti italiani è la diaspora sparsa per il mondo. Un esercito di oltre 85 milioni tra cittadini, oriundi e discendenti che consumano, trasformano e producono ogni giorno prodotti “italiani” creati dai grandi marchi in Italia e prodotti “italiani” frutto dell’ignegno delle comunità all’estero.
Vada anche bene “la battaglia contro la contraffazione alimentare e il cosiddetto Italian sounding,” ma non è accettabile che si pensi di etichettare come “responsabili di simili frodi” le migliaia di piccole e grandi realtà di imprenditori, artigiani e professionisti che con le loro radici italiane e la loro identità contribuiscono alla crescita del soft-power italiano all’estero e alla crescita economica della nazione.
Andrea Michele Tiso, presidente nazionale Confeuro, ha stimato in più di 100 miliardi di euro il mercato del falso agroalimentare italiano. Si tratta – continua Tiso – di un “utilizzo improprio di parole, immagini e nomi che richiamano l’Italia, ma che con il nostro Paese non hanno nulla a che fare”.
C’è da augurarsi – a questo punto – che Tiso stia parlando di prodotti immessi sul mercato da aziende estere senza nessun collegamento con l’Italia, oppure a moltissimi prodotti presenti a livello globale, commercializzati da multinazionali estere che producono in Italia a condizioni simili a quelle delle economie emergenti dell’Africa o del Sud Est Asiatico.
Malgrado la panemia, continua Tosi, “la ripresa è stata così rapida che il 2021 potrebbe far registrare un record di 50 miliardi di euro alla voce esportazioni. Oltre a controlli più rigidi sul nostro territorio, occorre agire a livello europeo e internazionale per far sì che accordi e normative rendano la vita sempre più difficile a chi intende sfruttare la qualità delle produzioni italiane per truffare i consumatori”.
Senz’altro, una politica diretta alla tutela del prodotto italiano è comunque necessaria. Giova, però ricordare che la Costituzione Italiana, all’Art. 35, “tutela il lavoro italiano all’estero” e quando Tiso o altri distinti soggetti promotori del Made In Italy parlano di “produzioni italiane”, dovrebbero pensare a cosa sarebbe del Made in Italy se da domani milioni di Italiani nel mondo optassero per l’Italian sounding prodotto dai connazionali emigrati.
Il vanto dei dati export di tante aziende Italiane diventerebbe ben presto il loro peggiore incubo.
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