La verità sulla cittadinanza

di Emanuele Esposito

Il referendum abrogativo su lavoro e cittadinanza è stato un flop nei numeri, ma un successo per chi voleva finalmente un termometro reale dell’Italia che vota – dentro e fuori i confini. Ed è proprio guardando a quel 40% di contrari (in media) al quesito sulla cittadinanza, tra elettori in Italia e all’estero, che emergono verità che molti continuano a ignorare. O, peggio, a manipolare.

Forse, perché con la cittadinanza non si gioca. Non è un diritto da scontare in offerta elettorale, né una medaglia da distribuire per slogan ideologici. La cittadinanza italiana – come la intendono ancora oggi tanti italiani nel mondo – non si regala. Si riconosce, si conquista, si vive. Chi ha combattuto per mesi contro il decreto Tajani, che introduceva criteri più stringenti, oggi dovrebbe porsi qualche domanda in più.

E se serviva un segnale, questo referendum lo ha lanciato forte e chiaro: l’Italia – compresa quella all’estero – vuole serietà su questi temi. 

E non è sola. In questi giorni, nel Regno Unito, il governo laburista di Keir Starmer sta discutendo l’ipotesi di raddoppiare da 5 a 10 anni il tempo minimo per ottenere la cittadinanza. Un segnale inequivocabile: anche i Paesi progressisti anglosassoni stanno rivedendo le proprie politiche in senso restrittivo.

Ora immaginate per un attimo se una proposta simile fosse arrivata da Giorgia Meloni. In Italia sarebbero esplose polemiche, accuse di razzismo, titoli a nove colonne sull’oscurantismo della destra. Ma siccome la proposta arriva da un governo laburista, va bene così. Ecco il paradosso: quando la sinistra restringe la cittadinanza, è “prudenza democratica”. Quando la destra propone regole chiare, è “disumanità istituzionale”. 

I numeri, però, sono numeri. Si possono rigirare come si vuole, ma la matematica non è un’opinione. Elly Schlein ha deciso di intestarsi la vittoria di un referendum disastroso, affermando con tono di sfida: “Ci vedremo alle prossime elezioni politiche”. 

Forte, dice lei, di quattordici milioni di voti. Peccato che quei 14 milioni comprendano anche chi ha votato contro il PD su almeno uno dei cinque quesiti. E peccato che il quorum non sia stato raggiunto, rendendo il tutto nullo sotto il profilo legale, e discutibile sotto quello politico.

Diceva il critico Gérard Genette che “il comico è il tragico visto di spalle”. Ed è proprio questo che appare oggi: uno spettacolo tragicomico. Invece di riflettere sulle ragioni profonde di un risultato beffardo, gli sconfitti brindano, si esaltano, cantano vittoria. Come se nulla fosse accaduto. Come se gli italiani – quelli veri, concreti, stanchi – non avessero detto chiaramente la loro.

Per loro, la matematica è un’opinione. La logica, una scienza irrazionale. I numeri, un fastidio. Nemmeno quelli più inquietanti li scalfiscono, come il 36,5% di No alla cittadinanza all’estero o il fatto che in Paesi storicamente “inclusivi” come il Sudafrica, la Svizzera o Israele, la bocciatura del quesito sia stata netta.

E allora si torna alla narrazione emotiva: i “poveretti”, la “speranza”, “l’inclusione”. Uno dei consiglieri del PD ha dichiarato che il “campo largo” non è solo una coalizione, ma uno stato d’animo. Una melassa sentimentale fatta di progresso, libertà, ambiente, radici umane. Belle parole. Ma anche i pensieri lunghi possono avere le gambe corte, specie se poggiano su fondamenta sbiadite.

Soprattutto se sulla questione più seria – quella del lavoro nell’era digitale, cuore teorico di una sinistra moderna – ci si presenta con idee datate, slogan vecchi e un messaggio affidato a un ex leader sindacale che, prima di parlare di “crisi democratica”, farebbe bene a mettere ordine in casa propria. 

In conclusione, il referendum non ha solo fallito il quorum. Ha fallito la narrazione di una sinistra che voleva intestarsi la rappresentanza del popolo, ma si è trovata a fare i conti con un popolo diverso da quello che immaginava. Più cauto, più pragmatico, più attento. E meno disposto a regalare la cittadinanza come un biglietto d’ingresso a un parco giochi.