Nel cuore della politica, una delle sfide più grandi per chi ricopre un ruolo pubblico è la necessità di prendere decisioni. Non si tratta di un esercizio di mera amministrazione, ma di una vera e propria scelta che incide sulla vita di tutti. La politica è la mano che guida la comunità, il compito di chi è eletto non è solo di “gestire”, ma di agire con coraggio, lucidità e visione, perseguendo l’interesse pubblico.
Tuttavia, negli ultimi anni, uno dei fenomeni più inquietanti è l’astensione: il rifiuto di scegliere, di esporsi, di prendersi la responsabilità di una posizione. L’astensione, soprattutto nelle votazioni decisive, è come un atto di fuga, una forma di vigliaccheria che ci porta a nascondere la testa sotto la sabbia, sperando che il mondo vada avanti da sé. Eppure, chi ricopre un ruolo pubblico non può permettersi il lusso di ignorare la realtà. La politica non è un gioco da tavolo, dove non importa chi vince, ma un processo serio che implica conseguenze concrete.
Questo atteggiamento di non decisione trova un parallelo potente nella “Divina Commedia” di Dante, dove le anime degli ignavi sono condannate a correre dietro a una bandiera che non riescono mai a raggiungere, in una punizione senza fine. Dante, infatti, non perdona chi non ha scelto, chi ha vissuto in una sorta di sospensione morale, evitando di impegnarsi, di assumersi delle responsabilità. Questo monito dantesco è oggi più che mai rilevante: l’astensione non è solo un’assenza di voto, ma un rifiuto di fare qualcosa di fondamentale per il bene collettivo.
Ma cosa significa essere un decisore pubblico in un mondo così complicato e spesso segnato da conflitti di interesse? Immaginiamo un arciere, con la sua freccia pronta a colpire il bersaglio: l’obiettivo, chiaramente, è il benessere della collettività. Tuttavia, cosa accade se l’arciere è spinto da forze esterne, da legami personali, da amicizie o da interessi privati? In questi casi, la freccia potrebbe benissimo finire fuori bersaglio, danneggiando chi non ha nulla a che fare con il conflitto in corso. Il conflitto di interessi, infatti, è una delle minacce più insidiose che mette in discussione la legittimità di qualsiasi scelta politica.
Nel panorama attuale, assistiamo a situazioni in cui i decisori pubblici sembrano più concentrati sul proprio tornaconto che sul perseguire un interesse pubblico. Le decisioni, anziché essere guidate dalla giustizia, dal bene comune, vengono spesso influenzate da logiche che non hanno nulla a che vedere con la politica sana.
Si moltiplicano i casi in cui si vede la politica come un’occasione per risolvere i propri interessi privati, per fare favori a conoscenti, per cementare alleanze che nulla hanno a che fare con il bene della collettività.
In questo scenario, diventa sempre più difficile distinguere chi agisce per il bene pubblico da chi, invece, usa il proprio ruolo per finalità personali. Ma la politica, o per meglio dire, la vera politica, non può essere ridotta a un gioco di potere. È un impegno continuo a favore della collettività, una chiamata a prendere decisioni che possono determinare il futuro di intere generazioni. Ecco perché, quando un decisore pubblico si astiene, è come se rinunciasse alla propria responsabilità, lasciando che altri, magari meno qualificati o meno motivati, decidano per lui.
Il problema non è solo l’astensione in sé, ma il messaggio che essa manda: che la politica sia qualcosa di irrilevante, che si possa vivere senza fare scelte, che ci si possa sottrarre alle proprie responsabilità senza subire alcuna conseguenza. In un sistema politico sano, chi non decide, chi si sottrae, non può avere il lusso di restare in attesa, non può rimanere indifferente. L’indifferenza, la passività, sono il terreno fertile per l’incapacità e l’inefficienza.
Nonostante tutto, non possiamo e non dobbiamo perdere la speranza. Perché, anche in questo caos, c’è ancora chi si impegna, chi prende decisioni coraggiose, chi non ha paura di sbagliare, pur di provare a fare la cosa giusta. L’importante è che il nostro arciere, con il suo arco, impari a mirare e a scoccare la freccia nel posto giusto: il bersaglio del bene comune. Che la politica, pur nel suo marasma, riesca almeno una volta a centrare il bersaglio giusto, per il bene di tutti.
In questo teatro dell’assurdo, l’auspicio è che gli astensionisti comprendano che, oltre la comodità dell’indifferenza, esiste una responsabilità verso la comunità, un dovere verso la società, perché, alla fine, se si è scelto di essere in prima fila, è il momento di agire, di non restare fermi.