L’Italia e la Striscia di Gaza: quando gli aiuti umanitari diventano diplomazia

Un’analisi sull’impegno italiano nel sostegno ai palestinesi tra realpolitik mediterranea e pressioni internazionali.  Ruolo da mediatore credibile nello scacchiere mediorientale
di Marco Testa

Quando il 7 ottobre 2023 il conflitto tra Israele e Hamas ha riacceso i riflettori sulla questione palestinese, l’Italia del governo Meloni si è trovata a dover navigare acque diplomatiche particolarmente insidiose. Da un lato, la tradizionale alleanza occidentale e i rapporti strategici con Israele; dall’altro, la necessità di rispondere a una crisi umanitaria di proporzioni drammatiche che ha toccato la sensibilità dell’opinione pubblica italiana e internazionale.

La risposta italiana, cristallizzata nel progetto “Food for Gaza” lanciato l’11 marzo 2024, rappresenta molto più di un semplice gesto umanitario. È una mossa di diplomazia soft power che rivela la strategia di Roma nel Mediterraneo orientale: mantenersi rilevante senza compromettere gli equilibri geopolitici consolidati. Lo stanziamento complessivo, secondo quanto dichiarato dalla Farnesina, ha raggiunto i 70 milioni di euro da ottobre 2023, una cifra che colloca l’Italia tra i principali donatori europei per la causa palestinese.

L’operatività dell’iniziativa italiana si è concretizzata attraverso una serie di voli cargo partiti principalmente da Brindisi e diretti in Giordania, da dove gli aiuti vengono poi smistati verso la Striscia di Gaza attraverso i canali internazionali. Il secondo volo, arrivato ad Amman nel novembre 2024, ha trasportato 40 tonnellate di materiali, mentre un successivo carico ha superato le 60 tonnellate, includendo cibo non deperibile raccolto grazie al sostegno di Coldiretti e Confagricoltura, kit igienico-sanitari, attrezzature sanitarie e 150 tende messe a disposizione dalla Cooperazione Italiana.

L’iniziativa ha assunto dimensioni crescenti nel corso del 2025. Solo pochi giorni fa sono partite altre 350 tonnellate di farina e beni essenziali, mentre nelle prossime settimane è previsto l’arrivo al porto di Ashdod di una nave che porterà 15 camion e 15 tonnellate di nuovi aiuti sanitari d’emergenza. Un dato significativo emerge dai numeri ufficiali: l’iniziativa umanitaria italiana ha finora consegnato oltre 110 tonnellate di cibo, forniture mediche e beni essenziali alla popolazione civile della Striscia.

Tuttavia, dietro questi numeri si celano calcoli diplomatici più complessi. L’Italia ha scelto di operare esclusivamente attraverso organismi multilaterali come il World Food Programme, la FAO e la Croce Rossa, evitando qualsiasi iniziativa unilaterale che potesse essere interpretata come una presa di posizione politica sul conflitto. Questa cautela è evidente anche nella scelta logistica di utilizzare la Giordania come paese di transito, coinvolgendo un attore regionale moderato e alleato dell’Occidente.

La collaborazione con le organizzazioni agricole italiane ha aggiunto una dimensione particolare all’iniziativa. Coldiretti e Confagricoltura non si sono limitate a fornire prodotti, ma hanno trasformato il loro contributo in una forma di diplomazia agricola, dimostrando come i settori produttivi nazionali possano diventare strumenti di politica estera. Il coinvolgimento del Gruppo San Donato, che ha fornito più di mezza tonnellata di medicine e dispositivi medici, evidenzia come l’iniziativa abbia saputo mobilitare diversi settori dell’economia italiana.

Ma è proprio qui che emerge il paradosso della politica italiana verso Gaza. Nonostante gli stanziamenti milionari e gli annunci ripetuti, l’efficacia pratica rimane discutibile. Un’inchiesta recente ha rivelato come i comunicati stampa governativi che celebrano l’iniziativa abbiano una cadenza irregolare e non sempre corrispondano a risultati concreti sul terreno. Quando il 2 marzo 2025 l’accesso ai beni umanitari è stato completamente bloccato, l’iniziativa italiana ha mostrato tutta la sua fragilità strutturale.

Le organizzazioni italiane non governative hanno dimostrato maggiore concretezza. UNICEF Italia ha trasferito oltre 2,2 milioni di euro dopo il 7 ottobre 2023, mentre Medici Senza Frontiere ha mantenuto una presenza operativa costante nella Striscia, operando in condizioni estremamente difficili. Una charity italiana ha recentemente inviato 15 tonnellate di aiuti umanitari via Cipro, dimostrando come percorsi alternativi possano risultare più efficaci dei canali diplomatici ufficiali.

L’iniziativa “Food for Gaza” ha anche una dimensione simbolica importante, estendendosi al supporto medico per 21 piccoli malati oncologici palestinesi. Questo aspetto, meno pubblicizzato ma forse più significativo dal punto di vista umano, dimostra come l’Italia stia tentando di andare oltre l’emergenza alimentare per affrontare le conseguenze sanitarie più drammatiche del conflitto.

Tuttavia, l’impegno italiano si scontra con le oggettive difficoltà in un territorio sotto assedio. La complessità logistica non è solo tecnica ma geopolitica: ogni carico deve essere coordinato con autorità israeliane, giordane e organismi internazionali, in un equilibrio precario che può essere spezzato in qualsiasi momento dalle dinamiche del conflitto.

L’Italia cerca di ritagliarsi un ruolo di mediatore credibile nel Mediterraneo orientale, ma questa strategia presenta rischi evidenti. L’equilibrismo diplomatico può trasformarsi facilmente in inefficacia pratica, mentre la popolazione palestinese continua a soffrire. Il vero test per la politica italiana verso Gaza non sarà misurato nei comunicati stampa o negli stanziamenti annunciati, ma nella capacità di far arrivare effettivamente gli aiuti a chi ne ha bisogno, dimostrando che la diplomazia umanitaria può tradursi in risultati concreti anche nel contesto più difficile del Medio Oriente contemporaneo.