Per un po’ di propaganda

orrente: l’aspirante politico di turno, uscente presidente del Comitato locale, che si presenta in radio per parlare di cittadinanza italiana e informare la comunità. Tono grave, solito volto e via con il sermone su cittadinanza, diritti e dignità. Alla fine, foto di circostanza, likes sui social, pacche sulle spalle: lo spettacolo è servito.

Peccato che, appena finita la trasmissione, gli stessi amanti della libertà si trasformino in rigidi paladini della censura. I contributi ai giornali della comunità? Bloccati. Le voci indipendenti? Ridotte al silenzio. La stampa libera, che tanto piace nominare nei talk show, diventa improvvisamente un fastidio da zittire. 

In pratica: predicare bene e razzolare male, con una disinvoltura degna di un manuale di propaganda.

Il nostro caro dottorino continua a stupire: più stringe la sua giacchetta, più si allarga la distanza tra le parole e i fatti. Ai microfoni, discorsi vibranti sull’importanza dell’informazione; dietro, forbici ben affilate per tagliare i fondi e tappare bocche scomode.

Alla fine, resta l’amara constatazione: ciò che serve alla comunità non sono comparse dai ripetitori né slogan studiati allo specchio, ma sostegno concreto a chi informa davvero. Perché senza una stampa libera e indipendente, la cittadinanza resta solo una parola buona per i titoli, non per la vita quotidiana.