Perché Vladimir Putin ha ragione…

di Carlo di Stanislao 

(Questo titolo è volutamente provocatorio: non nasce per esaltare in maniera acritica un leader politico, ma per smascherare la propaganda occidentale e costringere il lettore a riflettere sulle radici profonde della posizione russa, che non possono essere ridotte allo schema infantile “dittatore contro democrazia”).

Nella narrazione dominante in Occidente, Vladimir Putin è dipinto come il nemico assoluto: un autocrate cinico, un despota mosso da sete di potere, un nostalgico dell’Unione Sovietica pronto a riportare il mondo indietro di decenni. È l’immagine confezionata dai media occidentali, utile a confermare la nostra autocompiacenza e a giustificare l’espansione di un ordine internazionale guidato da Washington e da Bruxelles. 

Ma questa caricatura non spiega nulla. Per comprendere davvero la Russia e il suo presidente occorre liberarsi dalle semplificazioni propagandistiche e guardare alle ragioni profonde – storiche, culturali, filosofiche – che alimentano le sue scelte. Dire che Putin ha ragione non significa approvarne ogni gesto o decisione, ma riconoscere che dietro la sua visione non c’è un capriccio individuale: c’è una coerenza storica, una logica geopolitica e una missione culturale.

La prima ragione è geopolitica. La Russia è una potenza continentale priva di confini naturali sicuri, esposta nei secoli a invasioni continue: dai Mongoli a Napoleone, da Carlo XII a Hitler. Questa memoria collettiva ha scolpito nella coscienza russa l’idea che la sicurezza non è un optional, ma la condizione stessa della sopravvivenza. Per questo l’espansione della NATO verso est, nonostante le promesse fatte a Gorbaciov negli anni della riunificazione tedesca, è stata percepita a Mosca come un tradimento e un accerchiamento. Nessuna potenza accetterebbe basi militari ostili davanti alla propria porta: gli Stati Uniti non tollerarono i missili sovietici a Cuba; perché mai la Russia dovrebbe accettare l’Ucraina nella NATO? Qui Putin ha ragione: non si tratta di imperialismo, ma di autodifesa strategica.

L’Ucraina, poi, non è un Paese come gli altri. Per la Russia, Kiev è la culla della propria civiltà: è lì che nel 988 il principe Vladimir battezzò la Rus’, dando vita non solo a una fede, ma a una nazione e a una cultura. Pensatori come Ivan Ilin hanno ribadito che Russia e Ucraina formano un corpo organico, che nessuna ingegneria geopolitica esterna può separare. Dostoevskij aveva previsto che l’Occidente avrebbe tentato di dividere il mondo slavo per indebolirlo. 

Non sorprende dunque che Putin, di fronte a un’Ucraina trasformata in pedina dell’Occidente, reagisca: ai suoi occhi non è solo politica, è la difesa dell’unità storica e spirituale del popolo russo.

Gli eventi del 2014 a Kiev, presentati in Occidente come “rivoluzione democratica”, sono stati letti in Russia come colpo di Stato eterodiretto, orchestrato da ONG e servizi occidentali. La cacciata di un presidente eletto, per quanto corrotto, e l’arrivo al potere di un governo immediatamente pro-NATO, sono stati percepiti a Mosca come l’ennesima manipolazione geopolitica. Anche qui Putin ha ragione: ciò che l’Occidente chiama “autodeterminazione” è spesso ingerenza mascherata.

Ma ridurre tutto a geopolitica è insufficiente. Le ragioni di Putin sono anche culturali e filosofiche. Egli si propone come difensore di un modello di civiltà alternativo rispetto all’universalismo liberale occidentale. La Russia putiniana si radica nella tradizione ortodossa, in quel pensiero che da Solov’ëv a Berdjaev ha sempre contrapposto al razionalismo utilitaristico dell’Occidente una concezione sacrale e comunitaria dell’esistenza. Nelle parole di Putin si avverte l’eco di Solženicyn, che denunciava l’Occidente come un mondo decadente, disarmato spiritualmente, dominato dall’edonismo e dalla mercificazione. Putin non inventa nulla: raccoglie questa eredità e la traduce in politica, difendendo valori che l’Occidente ha abbandonato in nome del mercato globale e dell’individualismo assoluto.

Molti ridicolizzano queste posizioni definendole “propaganda reazionaria”. Ma la domanda è inevitabile: non è forse vero che l’Occidente ha smarrito ogni radicamento spirituale? Non è forse evidente che la civiltà liberale dissolve ogni identità collettiva in nome di un individualismo atomizzato? Quando Putin afferma di voler difendere la famiglia tradizionale, la religione, la comunità, egli interpreta una domanda reale del popolo russo, che rifiuta di farsi travolgere dal nichilismo occidentale. In questo senso, Putin ha ragione: non esiste un modello universale, e la Russia ha diritto a difendere la propria via.

C’è poi la questione dell’ordine mondiale. Dal 1991 gli Stati Uniti hanno costruito un sistema unipolare, mascherato dalla retorica dei “diritti umani”. Ma quante volte quei principi sono stati usati come strumenti di dominio? L’Iraq devastato dalle bugie sulle armi di distruzione di massa; la Libia distrutta in nome della “democrazia”; la Serbia bombardata senza mandato ONU. 

L’Occidente si è eretto a giudice universale, imponendo la propria volontà al mondo. Putin si ribella a questa arroganza e propone un sistema multipolare, dove ogni civiltà abbia voce. 

Qui Putin ha ragione: l’unipolarismo è insostenibile, e il futuro sarà inevitabilmente multipolare.tracciare la propria via.