Diffuso, divulgato, propagato, edito, stampato, tirato, opera, scritto, testo, articolo, contributo, libro, saggio, opuscolo… scegliete voi. Ma dopo l’aggettivo, aggiungete “comunitario”. Abbiamo voluto fare un periodico comunitario.
Mi piace la parola comunitario, della comunità. Ha un ché di socialismo… sociale… del popolo.
Ovviamente non siamo una pubblicazione istituzionale… qualcuno insinua anti-istituzionale, ma questo mi sembra un po’ eccessivo. Forse non me ne importa molto delle istituzioni, specialmente se sono maneggiate da burocrati, ma “se non sono gigli – direbbe De André – son pur sempre figli vittime di questo mondo” … che tradotto significa: ce li hanno mandati e, purtroppo, dobbiamo tenerceli… anche se le vittime di “questo mondo” diventiamo noi.
Ma, lungi dal tergiversare, torniamo alla parola “comunitario” della comunità, ed è per questo che abbiamo (maestatis) deciso di fare un periodico scritto e letto dalla comunità. Ora, se scrivo solo io, non è un giornale comunitario, nemmeno se scrivo solo di quello “politicamente corretto” con contorno di processioni e morti…
La comunità è un assieme di persone che, per provenienza, lingua, interessi, sono accomunate da qualcosa che li spinge a stare assieme. Più o meno di quando ci si innamora di qualcuna… o qualcuno, di questi tempi.
Non deve essere necessariamente una comunità dalle stesse idee, dagli stessi interessi, della stessa lingua… ci deve essere qualcosa, come una spinta che ci induce a ritrovarci, di tanto in tanto.
Una comunità così formata, non necessariamente si deve trovare d’accordo su tutti e tutto. In fin dei conti il disaccordo è il principio della democrazia, ognuno ha il diritto di dire “la sua” anche se non va d’accordo con “la mia”. Ma nessuno ha il diritto di imporre il proprio diritto sulla comunità che dovrebbe contenere individui che svariano il più possibile tra di loro, praticamente da un estremo all’altro. Qualcuno ha pure detto che due poli estremi si attraggono… ma qui ho qualche dubbio.
Stessa cosa dovrebbe essere per un giornale comunitario, spetta al lettore leggere e comprendere il messaggio, accettare o rifiutare a seconda dei casi il contenuto.
Non è bello e non fa bene alla salute mugugnare a se stessi che questo giornale è una schifezza o, addirittura, come altri fanno altri, censurarlo alla vista dei loro assistiti dichiarando che è un opuscolo compiacente… qualunque cosa questo significhi.
Perché sedersi davanti al computer e sparare quattro cazzate su Facebook per sfogare una rabbia accumulata per chissà quale motivo… la moglie che ti mette le corna, il gatto che se l’intende con la gatta del vicino, che piove troppo o non piove mai.
Considerato che esiste un periodico comunitario, il nostro, perché allora non scrivere un articolo, un pensiero, una storiella sul tuo periodico? Perché fare arricchire ulteriormente Facebook, Instagram, TicToc… scrivi sul tuo giornale un articolo, un saggio, un racconto, una storiella… qualcosa che possa interessare la comunità.
Per scrivere su un giornale non devi essere laureato con 10 e lode, non devi aver fatto l’ambasciatore, insegnato all’Agorà di Alessandria, non devi scrivere come Alessandro Manzoni o Luigi Pirandello… basta che il tuo scritto sia comprensibile e la “Maestra” sarà in grado di aggiustare qualche verbo e qualche congiunzione.
L’importante è che l’articolo sia firmato, non offenda nessuno e sia interessante per la comunità. Puoi scrivere o vuotare il sacco, puoi ciarlare di tutto e su tutto… non tanto di processioni o morti, per questo abbiamo già professionisti della carta stampata che potrebbero gridare al plagio.
Aspettando di scoprire un nuovo Indro Montanelli, Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri… vi comunico che durante la “Serata della Stampa” che un mio collaboratore ha intenzione di resuscitare, il miglior “scrittore” verrà premiato con tanto onore e poco più, ma avrà certamente la soddisfazione di aver fatto qualcosa per la comunità. Non si vive di solo pane, scrisse qualcuno… perché, nell’arrosto della vita, l’alloro serve…
Termino citando un mio maestro di pensiero, Fabrizio De André: “Ognuno di noi, indipendentemente dall’attività esercitata, può occasionalmente diventare un maestro di pensiero, un esempio da seguire […] Non credo che esistano verità assolute. Questa mania occidentale e aristotelica di distinguere il bianco dal nero, il buono dal brutto, forse, non è esattamente l’aspirazione profonda dell’anima umana. Esistono, invece, realtà che si aprono a molteplici interpretazioni a seconda del punto di vista da cui le si osserva”.
PS – Ieri mi ha telefonato Francesco consigliandomi “di farla finita” di pubblicare su Facebook che qualcuno è imbecille solo perché ha espresso parere negativo a questa pubblicazione. Siamo in democrazia, credo, e ha tutto il diritto di farlo. Prometto che non lo chiamerò più così, non è bello. E mi scuso.
Forse… forse aveva ragione Umberto Eco quando scriveva che Internet ha dato voce agli imbecilli. E io non voglio essere uno di loro.
Ma… c’è sempre un ma nei miei pensieri… “se concediamo al nostro avversario la libertà di poter dire tutto, anche l’intenzione di offendere, noi o altri, egli da un lato lo farebbe di già e molto prima che noi ci immolassimo per consentirgli di dirlo, oppure lo farebbe col nostro consenso. L’idea di tolleranza non può che partire da un “minimo etico” e non può non essere che reciproca, ovviamente. Se infatti si deve essere tolleranti coi tolleranti, viceversa non si può essere che intolleranti con gli intolleranti”.
Si, questo si avvicina ai miei pensieri e non importa che l’abbia scritto Voltaire o Evelyn Beatrice Hall, continuerò a scrivere ciò che penso e… quando ci vuole, ci vuole!
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