Cardinale Marengo: dalla Mongolia con amore

Il più giovane dei cardinali di Santa Romana Chiesa, 50 anni, un italiano, Sua Eminenza Giorgio Marengo, è in visita in Australia. Sabato 22 giugno ha celebrato la sua prima Santa Messa pubblica nella Cattedrale di Parramatta, nell’ovest di Sydney. Nella sua omelia, Marengo si è soffermato sulla realtà della piccola Chiesa in Mongolia, dove vi è arrivato nel 2003 e le cui esperienze sono simili a quelle dei primi cristiani, impauriti dopo la morte di Cristo, ma anche pieni di stupore per la crescita della comunità di fedeli, sotto la guida dello Spirito Santo.

“Quando siamo giunti in questa zona remota a sud del paese – ha affermato Marengo – abbiamo stabilito due tende, una per le attività e una per la preghiera. Come gli apostoli, anche i primi fedeli mongoli hanno presto compreso che nella tenda dedicata alla preghiera c’era qualcosa di diverso – si passava dalla paura allo stupore.”

Dopo la cerimonia religiosa nella Cattedrale di San Patrizio, abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo per conoscere meglio la sua storia e quella della Chiesa nella terra dei Khan. Il cardinal Marengo ha condiviso la sua straordinaria esperienza di vita e missione, lanciato un rinnovato messaggio di fede e carità. Il suo arrivo in Australia è frutto di una collaborazione con Catholic Mission, l’agenzia australiana delle Pontificie Opere Missionarie, organismo principale della Chiesa cattolica per la missione ad gentes volta ad aiutare i missionari e le giovani Chiese nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità.

“Ringrazio Catholic Mission, che mi ha invitato per animare il corso della missione qui e per presentare i nostri progetti, in particolare uno chiamato ‘Casa della Misericordia,’ che è stato benedetto e inaugurato dal Papa Francesco l’anno scorso durante la sua visita in Mongolia.”

L’idea iniziale del cardinal Marengo era quella di creare un centro in cui tutte le istituzioni della Chiesa che operano nei settori della giustizia sociale e dell’assistenza ai bisognosi potessero riunirsi e diventare una realtà, per un contributo comune e concreto della Chiesa particolare in Mongolia.

La Casa della Misericordia si è evoluta in un luogo di incoraggiamento dove chi ha perso tutto ha la speranza di ricevere nuova vita, dove si costruisce un mondo diverso nello spirito dell’unione e della misericordia, si abbattono le barriere attraverso il volontariato interreligioso e comunitario, si attraversano i confini della differenza, avvicinando coloro che sono spesso dimenticati.

“La Casa della Misericordia è un rifugio per persone in difficoltà. Il centro offre cibo, un ambulatorio di primo soccorso, camere per ospitare persone senza fissa dimora e spazi per donne con bambini che fuggono da situazioni di violenza domestica. Vogliamo incoraggiare il volontariato in Mongolia, partendo dai nostri fedeli cattolici ma aperto a tutti. In questo progetto Catholic Mission ha contribuito alla ristrutturazione dell’immobile e continua a sostenerci.”

“È proprio l’espressione di quello che la Chiesa locale fa, non tanto come questa o quella congregazione, ma come impegno comune di tutti i cattolici, i mongoli e i missionari nel campo della carità. Questo è già il nostro piano quotidiano, ma adesso abbiamo un centro in comune dove convogliare le forze e offrire questo servizio.”

Nell’essere del missionario in Mongolia, c’è comunque una stupenda storia d’amore con Gesù, iniziata ai tempi del liceo. Il cardinal Marengo parla con semplicità e profonda gioia di come sia maturata la sua vocazione al sacerdozio missionario.

“Sono cresciuto in una famiglia credente e ringrazio Dio per tutto quello che ho ricevuto. Ho scoperto questa chiamata negli anni del liceo, quando mi è stata data la possibilità di sperimentare di più la vita cristiana vera e propria. Ho avuto un direttore spirituale, un missionario della Consolata, e tramite lui ho iniziato a coltivare di più la preghiera personale e la vita di fede.”

“Quando ho finito la maturità classica al liceo Cavour di Torino, durante un ritiro estivo, ho percepito che forse era il momento di dare una svolta. Sentivo che la mia vita era consegnata al Signore.”

“Nella forma della vita religiosa vedevo il compimento di questa chiamata e quindi sono entrato nei missionari della Consolata a Torino. Ho seguito tutto il percorso formativo, iniziando con la filosofia e poi la teologia, a Roma, dove sono stato ordinato nel 2001. Quando stavo finendo la licenza in missiologia nel 2003, il nostro istituto decise di aprire una missione in Mongolia e mi chiesero di far parte del primo gruppo. Era il 19 luglio del 2003.”

Il Cristianesimo arrivò per la prima volta in Mongolia attraverso i cristiani nestoriani di antica tradizione siriaca tra il VII e il X secolo. Nel corso dei secoli successivi, però, la presenza del cristianesimo è stata discontinua. Scomparve con la fine dell’impero mongolo e riapparve soltanto con l’inizio dell’attività missionaria in Cina a metà del XIX secolo.

Ufficialmente, “la Chiesa in Mongolia è presente dal 1992, anno in cui il governo mongolo, dopo la fine del regime comunista, chiese di stringere relazioni diplomatiche con la Santa Sede. I primi missionari del Cuore Immacolato di Maria, noti come CICM, vennero invitati. Uno di loro, il padre Wenceslao Padilla, venne nominato prefetto apostolico nel 2002 e vescovo nel 2003. Noi arrivammo pochi mesi prima della sua ordinazione episcopale e partecipammo a quell’evento. La Chiesa contava allora 200 cattolici locali.”

“San Giovanni Paolo II avrebbe dovuto visitare la Mongolia nel 2003, ma non riuscì, così venne il cardinale Sepe a consacrare la cattedrale di San Pietro e Paolo di Ulan Bator. Noi arrivammo undici anni dopo i primi missionari e ci stabilimmo in una zona della Mongolia centro-meridionale dove la Chiesa non era mai stata presente. Monsignor Padilla si mostrò molto benevolo, molto collaboratore e noi ci offriamo a lui perché lui andasse dove lui ritenesse più opportuno.”

Oggi, i cattolici in Mongolia sono appena 1.500, distribuiti in una Prefettura Apostolica con nove parrocchie e una cappella universitaria, su una popolazione complessiva di circa 3,2 milioni di abitanti, in una realtà posta ai confini della cristianità e in uno dei luoghi più freddi al mondo. I fedeli sono serviti da un vescovo, 23 sacerdoti, tra cui uno mongolo, sei seminaristi, 37 religiose, sei religiosi non sacerdoti appartenenti a circa 30 nazionalità diverse, alcuni catechisti.

Abbracciare la fede cattolica in Mongolia, “è una scelta coraggiosa e non scontata. La Chiesa è un po’ più conosciuta grazie alla visita del Papa l’anno scorso, ma essere cattolici significa dover sempre giustificare la propria scelta. I rapporti con il governo sono buoni, c’è una collaborazione nel rispetto reciproco.”

Benché il cardinal Marengo sia in primo luogo un uomo di Chiesa, la presenza di un italiano in Mongolia, che si distingue per le opere di carità e assistenza non può che riempire di orgoglio. “Diciamo che l’Italia in generale in Mongolia è vista abbastanza bene. La Mongolia ha un atteggiamento positivo verso l’Italia, senza pregiudizi, anzi, c’è una certa attrazione per il nostro paese, riconosciuto per la sua grande storia di arte e cultura.”

“Abbiamo anche creato dei ponti, perché quando ero missionario in quella zona, abbiamo avviato un accordo di collaborazione tra la città di Torino e un comune della Mongolia che oggi non è particolarmente grande, ma sorge sulle rovine dell’antica capitale dell’impero, Karakorum, oggi chiamata Kharkhorin. Da anni esiste questo bel rapporto per cui le autorità di quel luogo sono state a Torino varie volte; ora aspettiamo che anche da Torino qualcuno venga a visitare quel luogo. È un luogo particolarmente importante perché era la capitale dell’impero e il sito dove, nel 1550, è stato costruito il primo monastero buddista in muratura, che è ancora parzialmente intatto. È quindi un grandissimo centro culturale e religioso, e perciò è bello che ci sia questo ponte. Abbiamo spiegato anche che Torino è stata la prima capitale dell’Italia unita, mentre Kharkhorin era la capitale dell’impero mongolo.”

“Devo dire che c’è un bello scambio soprattutto culturale. Gli archeologi del Centro Scavi dell’Università di Torino ogni estate partecipano a una missione archeologica in Mongolia, non tanto per scavare, quanto per fare ricerca su quanto già i mongoli hanno scoperto finora. Esiste un bel museo archeologico a Karakorum, e ogni estate gli archeologi italiani lavorano lì con i loro colleghi mongoli, dedicandosi soprattutto alla didattica museale. Anche quest’estate, a luglio, torneranno.”

Infine, la scelta di visitare l’Australia per il cardinal Marengo è anche un passo avanti per comprendere meglio l’esperienza radicata del volontariato, che ha fatto del cattolicesimo un punto di riferimento per l’intera nazione e il cui modello potrebbe essere di ispirazione per l’ulteriore crescita della Chiesa in Mongolia.

“Vogliamo incoraggiare e incrementare l’esperienza del volontariato, che in Mongolia non è ancora tanto conosciuta a 360 gradi. Perciò, partiamo dai nostri cattolici, ma siamo aperti anche a chiunque voglia dedicare tempo e risorse agli altri.”

Per saperne di più sul lavoro di Catholic Mission in Mongolia e su come puoi sostenerne il lavoro in tutto il mondo, visitate www.catholicmission.org.au.

Fotografie di Astrid Delayre (Catholic Mission)

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*