Da Sant’Antonio a Don Tonino Bello

Cattedrale di Molfetta, 13 giugno 1987, festa di sant’Antonio. Il servo di Dio don Tonino Bello, alla presenza dei frati provenienti da Padova per le Giornate Antoniane e dei tanti fedeli che stipano la chiesa, anche per celebrare i 350 anni dalla rifondazione della locale Confraternita dedicata al Santo, pronuncia questa ispirata omelia antoniana, che vi riproponiamo in forma abbreviata, grazie alla trascrizione della registrazione messa a disposizione dalla Confraternita di sant’Antonio di Molfetta. 

“Carissimi fratelli, potrebbe sembrare anche strano per voi dopo tanti secoli, dopo 8 secoli, che veneriamo ancora la figura di un uomo che si è spento a 36 anni. È incredibile, si è spento a 36 anni però il suo nome ancora gira per tutti gli angoli della terra. Io oggi credo che non ci sia villaggio, città e metropoli in tutto il mondo in cui la gente non si raccolga in qualche chiesa per onorare la figura di Sant’Antonio di Padova. Perché mai? Quale è il segreto? Perché ha scavalcato i tutti questi secoli la figura di quest’uomo e per giunta fino a noi? E noi oggi, pur trovandoci in una giornata feriale, in una giornata lavorativa, gremiamo la chiesa più di quanto non avvenga la domenica. Ed io non so, voglio dare un’interpretazione mia: perché forse Sant’Antonio si è convertito al popolo.

Vi voglio ricordare l’episodio per me centrale: lui è un intellettuale, è un professore dell’Università, insegnava all’Università. Era un agostiniano, era entrato in questo ordine religioso erede della cultura, sapienza, saggezza di Agostino d’Ippona, il più grande luminare della Chiesa. E quindi conosceva benissimo le Scritture, la Teologia, le citazioni gli fiorivano sul labbro in modo molto spontaneo e i suoi discorsi, i suoi sermoni che ci sono rimasti, mostrano proprio questa cultura. Lui era un intellettuale, era un aristocratico del pensiero, avrebbe fatto chissà quale carriera splendida insegnando nelle Accademie. Allora questo uomo così dotto, così colto un giorno viene colpito dall’esempio, dalle immagini di fraticelli da quattro soldi che sbarcavano dal Marocco, seguaci di Francesco d’Assisi, il quale era vivo. Sapete che Antonio di Padova è contemporaneo di Francesco d’Assisi e si sono conosciuti e Francesco d’Assisi chiamava Antonio “il mio Vescovo” tanto gli voleva bene. Ora che cosa succede? Antonio si informò bene e sentì dire che Francesco d’Assisi parlava delle cose semplici: chiamava fratello il sole, sorella la luna, amava la terra, amava le piante, amava la natura, amava gli uomini, le persone, ma soprattutto amava Dio, gli voleva un bene da morire, amava Gesù Cristo. Aveva sentito parlare di quest’uomo straordinario che sapeva andare alle cose essenziali ed allora anche lui è stato affascinato dal bisogno di andare alle cose essenziali. È stato un raptus di sapienza, un bisogno di sentirsi travolgere dalla Sapienza di Dio, sapienza che significa saper dare sapore alla vita, dare sale alla minestra della vita. Per me questa è conversione, sicché lascia l’Accademia, le aule universitarie, i grandi volumi su cui aveva speso tanto tempo e si rivolge al popolo. Dopo un po’ di silenzio, perché scoppiò all’improvviso si può dire, Antonio nella sua sapienza fece anche il noviziato della gavetta, fece il cuoco nel convento dei francescani dove subito lo accolsero. Stette in silenzio per tanto tempo, sembrava che sapesse solo scodellare e fare qualche cosa in cucina, poi un giorno siccome venne a mancare un predicatore durante una celebrazione molto importante venne chiamato lui perché qualcuno aveva sentito dirgli cose molto sagge e fu allora che tutti conobbero la sua sapienza. Da quel momento Antonio di Padova andò da un punto all’altro, nei villaggi, nelle città, passava come Francesco annunciando la Buona Parola, la lieta novella, la Parola di Dio. Parlava del Vangelo, insegnava il Vangelo e, come Francesco d’Assisi, chiedeva alla gente che lo mettesse in pratica sine glossa, cioè senza molte annotazioni, il Vangelo per intero così come sta scritto. Fratelli miei questo è Sant’Antonio. Perciò, ha Gesù in braccio. Lui ci indica Gesù Cristo, ci dona questo regalo. Ha il Libro che è il segno proprio della Parola di Dio che noi dobbiamo tradurre senza molte storie. Vedete che Francesco d’Assisi, il suo maestro, non voleva nemmeno che i frati avessero una regola: la vostra regola sia il Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Prendete il Vangelo, miei cari fratelli, leggetelo, studiatelo, mettiamolo in pratica.”

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