Il primo Missionario di Coburg

Port Essington, 11 giugno 1848. Nel remoto avamposto militare inglese della Penisola di Coburg, nell’estremo e nord australiano, il piccolo contingente di soldati e ufficiali rese gli onori militari alla salma di un giovane uomo di 35 anni, morto due giorni prima di stenti e di malaria tributandogli il rispetto che era dovuto a un uomo tenuto in grandissima stima. Quel giovane si chiamava Angelo Bartolomeo Confalonieri, missionario di Propaganda FIDE.

Il funerale con gli onori delle armi per un prete cattolico, nell’Australia del 1848, ebbe un’importanza straordinaria in una terra che condivideva in massima parte le tesi del reverendo presbiteriano John Dunmore Lang, secondo cui il Papa era l’anticristo e la diffusione della “superstizione papista” nel nuovissimo continente una minaccia da scongiurare a tutti i costi. Un ostracismo che venne clamorosamente meno per Angelo Bartolomeo Confalonieri.

Nato a Riva del Garda il 22 giugno del 1813, il futuro missionario visse gli anni della sua infanzia in un’Italia ancora lontana dall’unificazione e in una città appartenente all’Impero Austro-Ungarico. Angelo studiò a Trento nell’istituto che oggi è il liceo classico “G. Prati, maturando strada facendo la sua vocazione al sacerdozio. Il giovane coronò il suo sogno il 14 luglio del 1839 e celebrò la sua prima messa a Castelnuovo in Valsugana.

Chi lo conobbe lo descriveva come sacerdote abile, dotato di grande genialità ma grandemente motivato a realizzare la sua aspirazione: quella di diventare un missionario in terre lontane. E per dare corpo al suo sogno passava il tempo libero ad allenarsi con faticose escursioni su sentieri di montagna, abituandosi a resistere al freddo e al caldo, a patire la fame e la sete e passando intere notti sulla neve. Il suo sogno divenne infine realtà nel 1844, quando il vescovo gli diede il permesso di andare a Roma. Nella sede di Propaganda Fide il prete di Riva del Garda fece la conoscenza di mons.

John Brady, un irlandese vescovo di Perth e incaricato di evangelizzare tutto il Nord Australia. Padre Angelo accettò con grandissimo entusiasmo e il 17 settembre del 1845, con altri 26 religiosi di varie nazionalità trovati da mons. Brady per la sua diocesi, si imbarcò da Londra per approdare, dopo tre mesi di navigazione (l’8 gennaio del 1846) nella assolata città di Perth, in una zona dell’Australia baciata da un clima temperato. Non era però questo il luogo destinato al missionario trentino. Insieme a due chierici irlandesi (James Fagan e Nicholas Hogan) padre Angelo riprese il viaggio in direzione Nord per aprire una missione nel territorio degli aborigeni. Il viaggio però si rivelò drammatico.

Il veliero che li portò da Sidney a Essington (nel Queensland), ad inizio aprile del 1846, durante il viaggio andò a sbattere su una scogliera inabissandosi in poco tempo. I due giovani chierici irlandesi annegarono insieme a gran parte dei viaggiatori mentre Don Angelo ebbe salva la vita e anziché rinunciare alla missione scelse, anche se solo e privo di qualsiasi mezzo, di farsi portare a Port Essington. Il missionario arrivò in una delle regioni meno vivibili dell’Australia, caratterizzata da una natura selvaggia e dal pericolo preoccupante di febbri tropicali. Scoperta dal navigatore olandese François Thijssen nel 1627 e cartografata dall’esploratore inglese Capitano Matthew Flinders nel 1802, la baia rappresentava davvero l’ultimo avamposto per la predicazione missionaria nel continente australiano, essendovi il cattolicesimo praticamente sconosciuto e malvisto dalla società inglese e anglicana.

Padre Angelo decise di stabilirsi temporaneamente vicino al presidio militare inglese, il “Victoria”, il 13 maggio del 1846. Chiunque, nelle condizioni di Don Angelo, avrebbe desistito, aspettando magari rinforzi umani e materiali. Ma Don Angelo non rinunciò al sogno e al progetto di fondare una missione fra gli aborigeni di Cobourg, nonostante i rapporti già deteriorati fra inglesi e aborigeni. Il comandante del presidio, John McArthur, riconoscendone la bontà, lo accolse fra i militari, gli regalò i vestiti donati dai suoi militari, gli assegnò la razione di cibo della truppa e gli diede tutto ciò che il missionario riteneva indispensabile per iniziare la missione. Il comandante fece costruire dai suoi soldati, a grande distanza dallo stesso, una capanna sul promontorio Black Point (il cui nome aborigeno è Namarrgon: l’uomo fulmine) permettendo al giovane evangelizzatore di vivere fra i nativi nel territorio del popolo Majurnbalmi.

Il rispetto reciproco tra Angelo e il comandante Mc Arthur si spinse oltre le esperienze formali. Il comandante prese infatti l’abitudine di spingersi sulla canoa fino alla capannina del missionario per intrattenersi con lui e dibattere con il missionario sull’orientamento spirituale che ogni creatura di Dio deve dare alla propria vita. Angelo Confalonieri, attingendo alle proprie esperienze di allenamento, visse per due anni tra gli aborigeni adottando uno stile di vita estremamente duro. Il missionario divenne “uno di loro” conquistandosi una fiducia che nessun altro bianco prima di lui aveva avuto. Si prodigò per aiutarli nei casi di necessità o perché affetti da malattie, come nel caso di una sorta di epidemia di “febbre” che decimò gli aborigeni.

Il religioso divenne il paciere tra clan rivali e migliorò la convivenza e il dialogo fra le varie popolazioni. Imparò velocemente la lingua dei nativi e fu subito accettato grazie al suo impegno di appianare contrasti fra le etnie, condividendo le sue provviste e adottando il loro stile di vita nomade. Visse a stretto contatto con gli aborigeni condividendo con loro la misera vita e imparando con grande acume le loro lingue.

“La loro povertà e miseria è si profonda – scrisse nei suoi diari – la loro condizione è si degradata, il loro avvilimento è sì bestiale, che presenta le più ardue difficoltà per la Missione. Anche l’immensa distanza, e la rarissima comunicazione col mio Vescovo accresce di non poco le difficoltà, e può talvolta render la Missione soggetta alle più dure e critiche circostanze. Sia sempre ed in tutto fatta la Volontà del Signore, la cui Misericordia, con tutto il mio povero cuore fervidamente imploro sopra quest’ultima e più avvilita famiglia della generazione umana. Voglia anche benigno il Signore, accettare le povere mie fatiche, esaudire le deboli mie preghiere”.

Padre Confalonieri, si dedicò totalmente alla sua missione e al suo popolo, e nonostante vivesse una vita nomade, e affrontasse giornalmente il problema di procurarsi il cibo quotidiano , fu in grado di aiutare gli altri così come fu capace di realizzare alcuni libri che oggi rappresentano dei veri giacimenti culturali. Del frasario inglese-aborigeno dell’idioma di Cobourg “Specimen the Aboriginal Language or Short Conversation with the Natives of North Australia” esistono due versioni, una conservata a Roma a Propaganda Fide, l’altra in Nuova Zelanda nella “Auckland City Library”.

Secondo alcune testimonianze dell’epoca il missionario tradusse in lingua aborigena anche un libro di preghiere, i Dieci Comandamenti, l’Ave Maria e un racconto della Passione di Cristo, ma tali opere ad oggi non sono state trovate. L’evangelizzatore di Riva del Garda disegnò anche una mappa dettagliata della penisola di Coburg, conservata presso La Trobe Library di Melbourne (State Library of Victoria). “Tra il cristianesimo e la religione degli aborigeni – spiegò Padre Angelo – vi è un abisso che configura due concezioni opposte nel percepire il sacro e il soprannaturale”.

Padre Confalonieri non si perse tuttavia d’animo e si prodigò incessantemente nello spiegare la religione cristiana agli aborigeni, pur capendo che la sua unica speranza di conversione risiedeva nell’ educare i bambini orfani fin da piccoli nel cristianesimo. Non ne ebbe purtroppo il tempo. Dopo soli due anni dal suo arrivo a Port Essington, il giovane prete morì a causa di una febbre malarica a Black Rock, il 9 giugno 1848.

I militari inglesi cercarono inutilmente di soccorrerlo, e nei pochi attimi di coscienza che gli rimasero, il missionario pregò il comandante MacArthur di far avere a sua sorella una piccola croce e uno scapolare, i suoi unici possedimenti materiali. Il cardinale di Sydney, Patrick Moran, nel 1896, affermò che il missionario convertì quattrocento aborigeni al cattolicesimo ma il dato probabilmente è da prendere con le pinze. Il contributo di Confalonieri però non è mai stato dimenticato nel Nord Australia così come nella sua provincia, Trento.

Sembra infatti che vi siano ancora tracce di Confalonieri nelle storie orali d’alcuni indigeni, mentre una targa lo ricorda su una parete della cattedrale di Darwin, città in cui si trova un parco dedicato alla memoria del giovane missionario trentino. In Italia il suo ricordo è stato tenuto vivo da questo giornale, grazie all’articolo di Stefano Girola del 19 settembre 2009, agli studi di Elena Franchi dell’Università di Trento e grazie al bel libro curato da Rolando Pizzini e Stefano Girola: “Nagoyo. La vita di padre Angelo Confalonieri fra gli aborigeni d’Australia”, della Fondazione Museo Storico Trentino. (Generoso D’Agnese)

Be the first to comment

Leave a Reply

Your email address will not be published.


*