Gesù fa festa con i pubblicani e i peccatori, mangia con loro e agli scribi e ai farisei che hanno difficoltà ad accettare ciò, vuole raccontare la gioia di Dio nell’accogliere i lontani, nel perdonare i peccatori; così racconta loro la storia del padre misericordioso. Questo padre ha due figli che forse non hanno ancora capito la loro dignità di essere figli, vivendo ciascuno due aspetti diversi, due diversi modi di gestire la propria libertà.
“Padre dammi la parte del patrimonio che mi spetta, voglio prendere in mano la mia vita”, è la richiesta del figlio minore. Questo figlio è colui che non vuol saperne del padre nella gestione della sua vita. Questo è l’uomo; questo, chi più chi meno, siamo tutti noi, quando diciamo a Dio, forse non con le parole ma con i fatti: “dammi la mia vita, è mia. Non mi dare fastidio, voglio io decidere cosa farne”. Noi siamo in questa condizione, noi siamo in un processo di allontanamento di Dio.
Dio non è più nella nostra vita, è scomodo perché dobbiamo farci i fatti nostri. Quale destino attese il nostro giovane? Partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Perché? Perché il peccato illude, ma poi ci lascia sempre in una solitudine disperata. Il peccato è questa solitudine insaziabile di chi ha messo Dio fuori dalla propria vita.
Siamo in questa logica: ci sono tante persone con bisogni animaleschi e una solitudine devastante, avvinte da passioni sempre più basse. Cercano cibo dove non c’è e alla fine non trovano neanche le carrube degli animali, cadendo nel baratro della loro solitudine dove nessuno più ti dà da mangiare. Solo a questo punto il figlio più giovane inizia il suo processo di salvezza: «Allora rientrò in se stesso». Prima dove stava? Non era in se stesso, era fuori di sé; e curiosamente, per iniziare un cammino di ritorno, per andare verso il padre, deve entrare verso di sé. Egli ricorda suo padre, ricorda di essere figlio, ricorda di essere stato nutrito, ricorda come era bello stare nella casa del padre e non se ne era accorto!
In questo suo viaggio di ritorno, quando era ancora lontano, «suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». «Cosa significa questo? Che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava; quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Che cosa bella la tenerezza del padre! La misericordia del padre è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli.»
Certo, il figlio sa di avere sbagliato e lo riconosce: «Ho peccato… trattami come uno dei tuoi salariati». Ma queste parole si dissolvono davanti al perdono del padre. L’abbraccio e il bacio del suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto… Questa parola di Gesù ci incoraggia a non disperare mai. Anche nella situazione più brutta della vita, Dio mi attende, Dio vuole abbracciarmi, Dio mi
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