di Eugenio Capozzi
@La Nuova BQ
“Turning point” (punto di svolta) è il nome dell’associazione politica fondata nel 2012 da Charlie Kirk, che ha svolto un ruolo fondamentale nel cementare la coalizione conservatrice guidata da Donald Trump, in particolare presso le nuove generazioni americane. Ma oggi, con sinistra assonanza, possiamo affermare che il brutale assassinio di Charlie Kirk, avvenuto durante un meeting con gli studenti dell’Università dello Utah, segna davvero, in negativo, un punto di svolta nella deriva estremista e violenta della politica americana. Una deriva che ha già prodotto molti atti di violenza esplicita, a partire naturalmente dall’attentato contro Donald Trump a Butler nel luglio scorso, fallito per un soffio, e da quelli seguenti disinnescati in tempo.
Man mano che si fanno più nitide le circostanze in cui è avvenuto l’omicidio di Charlie Kirk e la sua meccanica, emerge con sempre maggiore chiarezza che rispetto agli attentati contro Trump ci troviamo di fronte ad un salto qualitativo: l’atto non è stato compiuto, evidentemente, da un “lupo solitario” squilibrato o improvvisato, per quanto incoraggiato o fomentato, ma è stato un vero e proprio attacco terroristico, opera di un killer professionista, specializzato e addestrato, supportato da una rete di sostegno. Anche il bersaglio e il luogo dell’attentato sono stati scelti con grande accuratezza, in modo da provocare il massimo effetto dirompente possibile.
Charlie Kirk non era, ovviamente, Donald Trump né un politico che rivestisse una carica istituzionale. Ma era una figura di grande importanza culturale e sociale, perché rappresentava, con il suo carattere e la sua opera, la più plateale smentita vivente all’egemonia del progressismo radicale woke. Era giovane, colto, sapeva usare con grande efficacia il web e i social media, e aveva un seguito enorme soprattutto tra i giovani, contribuendo con la sua capillare “predicazione” a costruire una solida alternativa al conformismo “politicamente corretto”, all’ideologia, al relativismo nichilista. Soprattutto, pur professando opinioni liberal-conservatrici molto difformi dal mainstream ideologico dominante di sinistra, Kirk era quanto di più lontano possibile da un fanatico: accettava ed anzi sollecitava il dialogo con tutti, inclusi coloro che professavano le posizioni più avverse alla sua, secondo la formula audace del “prove me wrong” (dimostrami che sbaglio, se ci riesci), valorizzando quel pluralismo delle idee e quella libertà di espressione nel rispetto reciproco che per la sinistra radicalizzata occidentale, ossessionata dalla coazione a censurare e cancellare, è insopportabile come l’aglio per i vampiri.
Colpendo lui, molto probabilmente si è voluto colpire uno degli animatori più lungimiranti della destra statunitense, quello che stava prefigurando un suo futuro radicamento nel senso comune della società. Che i mandanti dell’omicidio siano interni agli Stati Uniti (gruppi estremisti organizzati o “schegge” oscure del Deep State antitrumpiano) oppure esterni (gruppi legati al terrorismo islamista o a regimi autoritari interessati alla destabilizzazione della superpotenza occidentale) lo scopo è evidentemente quello di disperdere il drappello di intellettuali anticonformisti che Kirk guidava, di intimidirne i seguaci, e/o di suscitare dallo scoraggiamento caos ulteriore radicalizzazione e violenza diffusa.
Ora, non è detto che queste aspettative non possano rivelarsi un clamoroso boomerang, e lo shock per la morte di Kirk non possa invece tramutarsi in un catalizzatore di energie, un fattore propulsore per la giovane destra americana – come l’enorme e trasversale commozione suscitata dal tragico evento sembrerebbe suggerire.
In ogni caso, se gli organizzatori del delitto possono anche soltanto sperare di realizzare tali obiettivi ciò è dovuto essenzialmente al fatto che le frange più apertamente violente della sinistra americana e occidentale sono oggi immerse nel vastissimo “brodo di coltura” di una opinione diffusa e persino di una vulgata mediatica che considera normale descrivere gli avversari politici come il male assoluto, e auspicabile la loro eliminazione. Opinione e vulgata secondo cui posizioni in altri tempi considerate di buon senso e moderate andrebbero invece considerate come espressione di una destra “estrema”, eversiva, pericolosa, e quindi da reprimere con ogni mezzo.
Che, per esempio, additano chiunque si opponga all’immigrazionismo ad oltranza come razzista e suprematista; chiunque contesti i deliri transumanisti e le manipolazioni dell’ideologia gender come omo/transfobico; chiunque difenda il diritto alla vita del nascituro in nome della morale cristiana come negatore dei più sacri diritti delle donne; chiunque difenda il diritto alla vita di Israele, unica democrazia liberale del Medio Oriente, contro i fanatici integralisti, che vogliono cancellarlo, come un “genocida”.
Kirk diceva, giustamente, che quando si smette di parlare comincia la violenza. Se, infatti, non si scardina il clima di totale incomunicabilità che l’ideologia della sinistra nichilista ha costruito, e non si riprende a dialogare affermando la pluralità delle voci come una ricchezza in sé, la sorte delle democrazie occidentali sarà probabilmente quella di una deriva, più o meno strisciante, verso la guerra civile endemica, ed esiti autoritari.
