di Nico Spuntoni
@La Nuova BQ
Leone XIV è il Papa delle carezze, non delle rampogne. Se ne sono accorti anche i vescovi italiani, destinatari preferiti insieme alla Curia dei cazziatoni papali ai tempi di Francesco. Incontrandoli ieri a Palazzo Apostolico, Prevost ha ricordato il particolare legame che unisce il vescovo di Roma alla Conferenza episcopale italiana. Facendolo, il nuovo Pontefice ha citato il suo predecessore Paolo VI. E Montini non è l’unico predecessore ad essere stato menzionato nel discorso pronunciato da Leone.
Per l’ennesima volta in poco più di un mese, Prevost si è affidato a Benedetto XVI per rafforzare un concetto che gli stava a cuore ed ha pescato un passaggio del suo discorso al IV Convegno Ecclesiale Nazionale del 19 ottobre 2006 per dire che la Chiesa in Italia è una realtà in cui «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti».
Certo, non si è dimenticato di Francesco e lo ha ricordato per quel suo ultimo messaggio di Pasqua il giorno prima della morte ritenuto «il suo estremo, intenso appello alla pace per tutti i popoli». Quelle parole del suo immediato predecessore le ha poste in continuità con il «la pace sia con voi» con cui si è presentato al mondo nel pomeriggio dell’8 maggio. Bergoglio è tornato nel discorso anche nella denuncia della disaffezione verso la fede e della crisi demografica che colpiscono l’Italia.
In un tempo di dibattito sul fine vita, Prevost ha sottolineato ai vescovi italiani la necessità di difendere il rispetto della dignità umana, specialmente alla luce di sfide nuove come quelle poste dall’intelligenza artificiale, le biotecnologie, l’economia dei dati e i social media. Un passaggio che declina le motivazioni che hanno spinto l’agostiniano di Chicago a scegliere il nome del Papa della Rerum Novarum per attualizzare il suo messaggio.
Leone XIV ha raccomandato ai vescovi italiani di coltivare la cultura del dialogo «perché solo dove c’è ascolto può nascere comunione, e solo dove c’è comunione la verità diventa credibile». Per questo ha chiesto che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti ci siano spazi di ascolto intergenerazionale e con mondi diversi. Al Papa non piace l’uniformità che considera nemica della comunione.
Nessuna menzione dei migranti, ma solo la proposta che ogni diocesi promuova «progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». A lui importa soprattutto che ci sia «uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede» perché «si tratta di porre Gesù Cristo al centro».
La Chiesa italiana si lecca ancora le ferite per il rinvio del testo all’assemblea sinodale dello scorso aprile.
Prevost lo sa e ieri ai vescovi ha detto di andare «avanti nell’unità, specialmente pensando al Cammino sinodale» poi è passato alla raccomandazione di far sì che «la sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire».
Ma sbaglia chi pensa che l’attuale Papa abbia la stessa concezione fumosa di sinodalità che caratterizzava il suo predecessore. Chi lo ha conosciuto nel suo periodo di missionario in Perù specifica sempre che l’attuale Pontefice applicava la sinodalità prima ancora che questo termine divenisse una sorta di manifesto di un pontificato. In ogni caso, a Leone XIV sta a cuore soprattutto l’unità, che deve rimanere la priorità di una Chiesa anche nel processo sinodale.
