Come sta cambiando l’atteggiamento nei confronti della morte?

Sempre più spesso per il commiato ai propri cari si scelgono una breve benedizione o le esequie in forma laica: cerchiamo di capire il fenomeno.

Sembra però che l’atteggiamento nei confronti della morte stia cambiando e spesso le famiglie scelgono di non realizzare una cerimonia funebre, optando per una breve benedizione o solamente un saluto presso la camera ardente, in forma laica. 

Abbiamo ascoltato diverse voci all’interno del territorio diocesano e insieme a loro abbiamo cercato di comprendere questo fenomeno.

Don Sinuhe Marotta – che ha sottolineato come i dati siano presenti ma non allarmanti – ha posto l’accento sul fattore comunitario e sociale, che si rischia venga messo in secondo piano, ma anche di come a volte, nel momento di dolore, i famigliari siano confusi e necessitino quindi di una guida, da trovare proprio nel sacerdote.

Don Sinuhe, com’è la situazione attuale legata alla celebrazione delle esequie?

Non stiamo dando dati allarmanti, ma il fatto che ci siano persone che dicano di non voler nessuna funzione per un defunto – magari un padre o una madre -, soltanto una benedizione e via, è significativo per me, anche se fosse uno solo caso.

I famigliari affermano che il parente non era credente ma il problema per la Chiesa non è se uno era credente o meno, ma se uno era battezzato o no. C’è poi a mio avviso un problema etico, ossia “di chi è la persona?” – per così dire -; è solo dei familiari, magari arrivati all’ultimo minuto perché era un parente alla lontana o poco conosciuto? 

O è anche della comunità cristiana e del tessuto sociale? Ognuno di noi nella sua vita intesse delle relazioni sociali, c’è una rete nella quale è inserito. A me non interessano tanto i numeri statistici quanto la situazione, perché è indice di come viene affrontata la vita, la morte, il percorso.

La morte è circondata da gesti simbolici e questo è distintivo dell’uomo: il cingere di cura, attenzione e venerazione i defunti fa parte della struttura umana. Dimenticare questa cosa vuol dire dimenticarne una parte.

Come definirebbe quindi il rapporto con la morte oggi?

È bello sapere che una persona è inserita all’interno di un tessuto sociale, ma molte persone non vogliono informare che un parente è morto: non escono locandine, non viene pubblicato un annuncio funebre sul giornale; invece si dovrebbe ricordare che una persona aveva dei vicini di casa, degli amici, dei conoscenti. 

Per noi una persona appartiene anche alla comunità, non appartiene solo a sé stessa. 

Paradossalmente vediamo che questo è tanto più vero per coloro che muoiono da soli: è capitato di avere la presenza anche soltanto di uno o due familiari ma la comunità si è sempre stretta intorno alla persona, celebrandone la morte e affidandola al buon Dio. Tutto questo è significativo.

Oggi osservo una tendenza alla privatizzazione della morte, sull’onda anche di tanti altri fattori, per la quale la morte viene di fatto medicalizzata, a volte per sopraggiunte problematiche non ci si può avvicinare al parente morente… La cultura dell’accompagnamento verso la morte è stata un po’ “sterilizzata”, delegando al mondo medico e ai protocolli d’igiene quello che è un fatto umano.

Cosa accade quindi dopo il decesso in una struttura sanitaria?

Dopo l’ospedale, dove il malato viene accompagnato e c’è la benedizione del corpo al momento della morte, spetta alle parrocchie accompagnare famiglie e defunto al funerale; la collaborazione con le onoranze funebri e ottima e spesso ci aiutano a far comprendere alle famiglie che non vogliono svolgere il rito funebre l’importanza di questo segno: spesso non sanno di cosa si tratta, ne hanno magari una conoscenza parziale, in più nel momento difficile della perdita di una persona cara, spesso si è confusi, insicuri, presi dall’onda delle emozioni e le persone a volte non sanno come muoversi. In questo contesto i sacerdoti possono essere una risorsa – con la loro esperienza e disponibilità – per far comprendere come anche il momento della morte vada circondato e fatto diventare significativo per tutti.

Bisognerebbe recuperare una cultura del fine vita, dell’accompagnamento verso questo momento, che non sempre avviene per cause improvvise, è anche un passaggio naturale nella vita di un uomo o una donna. Si tratta di riappropriarsi di alcuni “saperi sociali”.

Quanto incide il costo di un funerale sulla scelta di realizzarlo o meno? Onestamente non credo molto a questo fatto dei costi – discorso simile si sente quando ai ragazzi viene chiesto perché non si sposino in chiesa -. A mio avviso sono cose molto relative, resto convinto che non servano sfarzi né grosso dispendio di denaro; in più credo che per casi di povertà tali da non potersi permettere nemmeno una 

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