La vera storia di “Vitti ‘na crozza” 

Nel 1950 Pietro Germi è ad Agrigento. È arrivato in Sicilia per le riprese del film “Il cammino della speranza”. 

Nella Città dei Templi deve incontrare il Maestro Franco Li Causi al quale ha dato l’incarico di comporre “un motivo allegro-tragico-sentimentale” per il suo film.

Li Causi per un intero pomeriggio fa ascoltare a Germi le sue proposte, ma non riesce a convincere il regista, che chiede al musicista di Porto Empedocle un brano di forte ispirazione popolare che esprima al meglio la drammatica vicenda che vuole portare sul grande schermo. 

Il giorno seguente Li Causi, che abitava ad Agrigento, durante il tragitto rimase in panne e si fermò in un caseggiato di campagna per chiedere aiuto. Lì scorse un contadino che zappava la terra e mentre zappava cantava la prima strofa della canzone “Vitti na crozza”.

Il contadino, Giuseppe Cibardo Bisaccia, era stato per molti anni un minatore e quella che cantava era una delle tante canzoni nate nelle miniere siciliane. Li Causi condusse quel giorno stesso il vecchio Giuseppe da Germi per fargli ascoltare la canzone. E il vecchio minatore cominciò: 

Vitti ‘na crozza supra nu cannuni fui curiusu e ci vosi spiari

idda m’arrispunniu cu gran duluri muriri senza toccu di campani…

Alla fine il regista rimase folgorato da quei versi, ma non dalla melodia. Essi avevano secondo Germi, proprio quel carattere drammatico che il regista voleva rappresentare, ma occorreva adattare la canzone alle esigenze cinematografiche. Chiese a Li Causi di musicarli, scegliendo una con melodia tragico-sentimentale, ma anche allegra, ci tenne a precisare…

Fu così che la canzone entrò di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. 

La pellicola vinse l’Orso d’argento al Festival di Berlino del ’51. Grazie al film, “Vitti ‘na crozza” fu ascoltata da un pubblico numerosissimo e piacque moltissimo.

Li Causi decise di incidere la sua canzone. Durante l’esibizione di gruppi folkloristici in occasione della Sagra del Mandorlo in Fiore, che si svolge da diversi anni ad Agrigento, aveva conosciuto il tenore Michelangelo Verso. A Li Causi piacque la voce chiara, limpida, squillante e incisiva e il modo di interpretare di Michelangelo Verso e gli chiese di eseguire “Vitti na crozza”.

La canzone ebbe uno straordinario successo. Il brano resta, ancora oggi, uno dei canti più storici, simbolici e significativi della tradizione musicale siciliana.

Sul significato di alcuni versi si è scritto molto, specie nel tentativo di ben intendere il primo: vitti na crozza supra nu cannuni”

Pochi sanno, che nelle miniere siciliane con il termine cannuni, nella sua accezione di “grande bocca”, si indicava il boccaporto d’ingresso delle miniere. Una grande bocca che inghiottiva gli uomini nelle sue viscere e che, talvolta, non li restituiva alla vita… non c’è dubbio che il teschio oggetto della canzone è alla disperata ricerca della pace dell’anima, irraggiungibile finché una mano pietosa non ne avrà composto i resti mortali, non avrà fatto rintoccare le campane a morte e non sarà celebrata una messa in sua prece.

Si è sempre ritenuto che il famoso “cannuni” dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria che tutti conosciamo e che la canzone si riferisca ad un tragico evento di guerra. Ma non sarebbe così. Si tratterebbe invece di un testo nato nelle miniere.

La storia narrata nella canzone ha dell’incredibile e ripercorre l’ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare. I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste il teschio della canzone, un semplice rintocco di campana! La pietas verso i defunti non è assente nella classicità e oltre ad essere invocata è non raramente riservata perfino ai nemici: in effetti segnala un passaggio cruciale nell’affermazione di una condizione che siamo soliti definire civiltà.

La voce del teschio implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un’onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell’aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un’oscurità permanente…”. (Elio Di Bella)

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