Rocky Mattioli, dall’Abruzzo a Melbourne a campione del mondo

Nell’agosto del 1977, quarantotto anni fa, Rocky Mattioli diventava campione del mondo dei pesi superwelter WBC alla Deutschlandhalle di Charlottenburg.  Per farlo, aveva dovuto strappare il titolo all’idolo di casa, Eckhard Dagge, personaggio piuttosto particolare, ma affascinante, nato nel difficile periodo di povertà del dopoguerra tedesco, cresciuto combattendo nei bar e nelle taverne di Amburgo dove la birra scorreva a fiumi, campione mondiale ai danni di Emile Griffith, rifugiatosi nell’alcol dopo il fine carriera tanto da pagare la propria dipendenza con la drammatica morte a soli cinquantotto anni d’età.

Rocco Mattioli nacque a Ripa Teatina, leggendario comune abruzzese che diede i natali anche al padre di Rocky Marciano che, ricordiamolo, con uno score di 49-0-0 diventa leggenda del pugilato italiano e mondiale. Il nome di Mattioli (Rocco) non è quindi un caso, ma è appunto un omaggio al grande Rocky Marciano, nome che Papà Concezio scelse, perché per coincidenza il giorno in cui la mamma Graziella partoriva, Marciano ritornava dall’America in visita al paese natale. 

All’età di sei anni dovette seguire, insieme ai genitori, il flusso migratorio di tanti nostri connazionali in cerca di opportunità di lavoro. Fu scelta l’Australia, tralasciando Germania, Svizzera, Belgio, Sud America, Canada e Stati Uniti. Rocco e la sua famiglia si stabilirono a Morwell, nello stato del Victoria, non lontano da Melbourne. Da piccolo fatica ad apprendere la lingua, ed a scuola e da adolescente è deriso e diventa oggetto di ripetute provocazioni da parte dei compagni. Mattioli che aveva un fisico minuto e quindi incapace di fronteggiare le continue molestie dei suoi coetanei, decise di frequentare una palestra di pugilato irrobustendo notevolmente il suo fisico. E decide dopo un periodo di adeguata preparazione di diventare pugile.

 Il debutto e l’iniziò dell’attività pugilistica non fu dei migliori, perde qualche match. 

Ma il piccolo Mattioli migliora velocemente essendo dotato di una spiccata aggressività e di un furia demolitrice che ben presto gli consente di farsi strada e distinguersi nel mondo dei dilettanti guadagnandosi il passaggio al professionismo ad appena 17 anni. Inizia a boxare come professionista nel 1970, in Australia, dove si distingue per la combattività e la potenza dei suoi colpi, conquistando il titolo Nazionale Australiano dei welter nel maggio del 1973 dopo 25 match totali, vincendone 22 subendo 2 sconfitte e ottenendo 1 pareggio, e rimanendo in carica fino al 1975, perse il titolo subendo una sconfitta per ferita dal Neo Zelandese Ali Afakasi. Nello stesso anno Umberto Branchini aveva incaricato il figlio Giovanni di seguire l’interessante attività del giovane Mattioli in Australia. 

Visto il valore, propose a Mattioli di trasferirsi in Italia, per continuare la sua carriera sotto la guida di Ottavio Tazzi, nel team Branchini. Quindi dopo aver combattuto ben 38 match in Australia, Rocky Mattioli portò la propria furia italo-australiana nella sua nazione d’origine, precisamente a Milano, allora capitale europea della boxe. In sette match combattuti in Lombardia tra il ’75 ed il ‘76, Mattioli ne vinse sei, cogliendo anche un prestigioso pareggio col grande Bruno Arcari.

Dopo aver vinto in Germania il titolo mondiale, Rocky lo difese più volte per i due anni successivi, una delle quali, contro lo spagnolo Pepé Duran, allo stadio Adriatico di Pescara, in un’emozionante e trionfale serata per la boxe abruzzese. In quell’occasione, Rocky offrì una prestazione degna della sua classe, martellando continuamente  lo spagnolo, logorando l’avversario con bordate al corpo e chiudendo, a metà della quinta ripresa, un match a senso unico. 

Un grande pugile con molta classe e tanta grinta. Ottimo bagaglio tecnico, molta varietà di colpi e si muoveva benissimo anche sul tronco. 

Avrebbe meritato di conservare il titolo mondiale più a lungo .Oggi, Rocky Mattioli è un Maestro, a Milano, ed insegna la più nobile delle arti a ragazzi che spero sappiano quanto grande sia il privilegio di abbeverarsi dell’esperienza di un tale campione.

In un’intervista di qualche anno fa, aveva detto: “Posso dire di non essere in sintonia con gli anni che viviamo: sono e rimango un uomo degli anni 90”. Così. Senza tanti giri di parole. Che grande Rocky!! 

Indimenticabile la sua intervista prima del match con Hope (dove combatte’ con una sola mano a causa di un infortunio), in mezzo dialetto e mezzo taliano disse “Hope è sí fort ma io mene” (Hope è vero che è forte ma io bastono). In un’altra leggendaria intervista alla fine di un match dichiarò “Si, o titol e’ bell ma pure i soldi so bell”. Grazie Rocky, simbolo dell’Abruzzo e dell’Italia che soffre ma non molla mai. 

 (fonti: Costantino Colombi e Nicolini racconta di pugili)