Voglia di tornare a casa

Avete mai sentito parlare dello Shakhtar? Si tratta di una squadra di calcio professionistica ucraina, della città di Donetsk, una regione russofona del Bonbas.

Nel 2014, a causa della guerra russo-ucraina, il club è stato costretto a trasferirsi a Leopoli e giocare varie partite tra Leopoli e Kharkiv pur avendo la sede dell’ufficio e le strutture di allenamento a Kiev.

Nei confusi momenti della guerra ad est, anche sul calcio si dovrebbe puntare quale riflettore, per quei connazionali italiani e non che durante le ore cruciali del conflitto si trovano intrappolati in un paese circondato dall’armata russa e le cui speranza svaniscono mentre si rimane rinchiusi in una stanza ad aspettare che i bombardamenti finiscano. 

Tra questi, abbiamo Roberto De Zerbi (allenatore), Davide Possanzini (vice allenatore), Agostino Tibaudi (preparatore atletico), Vincenzo Teresa (preparatore atletico), Giorgio Bianchi (allenatore dei portieri), Marcattilio Marcattili (coach fitness), Michele Cavalli (assistente tecnico), Paolo Bianco (assistente tecnico) che dalla scorsa estate lavorano con lo Shakhtar. 

La speranza alla quale ora sono aggrappati lo staff italiano e i calciatori brasiliani dello Shakhtar Donetsk, prigionieri da tre giorni all’Hotel Opera di Kiev, è racchiusa in due parole: cordone umanitario. 

Il gruppo è infatti intrappolato nella capitale dell’Ucraina dalla scorsa settimana, da poche ore prima dell’inizio dell’invasione russa. 

Non ci sono vie di fuga. Il secondo aeroporto di Kiev è controllato dalle forze militari di Mosca e lo spazio aereo è chiuso ai voli civili. I treni sono bloccati. Muoversi in auto è rischiosissimo e alle frontiere ci sono code chilometriche.

L’allenatore Zerbi, un bresciano, in una telefonato a Radio DEEJAY dichiara: ”Di notte sentiamo cadere le bombe, non capisco perché il calcio non si sia fermato. Ma non lascio da soli i miei giocatori”. 

In mezzo a questa follia putiniana, Roberto non ha voluto lasciare il paese e “voltare le spalle ai tifosi”. 

Nel fine settimana, avendo una partita da giocare, è rimasto fino alla fine da buon professionista, aspettando l’evolversi della situazione. E se potesse tornare indietro farebbe comunque di nuovo la stessa scelta, definendo il tutto come “niente di eroico,” solo la scelta di un serio professionista.

Ora si attende il rientro in Italia perché la sua presenza in Ucraina e quella dello staff, purtroppo, non ha più utilità dopo la sospensione dell’attività calcistiche, e il nostro mister si è il portavoce ufficiale del gruppo. E’ lui che tiene i contatti con ambasciata e consolato. 

Rassicura tutti sulle loro condizioni raccontando la loro quotidianità. “Non abbiamo problemi di scorte alimentari. Cuochi, camerieri e inservienti stanno facendo il possibile per aiutarci. Mangiamo tutti insieme, nelle sale più riparate. 

Bisogna stare lontano dalle finestre. La palestra va evitata perché è piena di vetrate, ma poi con questa situazione nessuno ha voglia di frequentarla. Trascorriamo il tempo incollati alla televisione e al computer.” 

Ma quello che lo affligge di più e gli porta angoscia è l’introduzione della legge marziale per tutti i cittadini uomini dai 18 ai 60 anni, possono essere richiamati al fronte in qualsiasi momento, e molti di questi giovani ragazzi sono giocatori della sua squadra. Fino a qualche giorno fa’ giocavano a calcio e oggi potrebbero ritrovarsi con un fucile in mano. “Noi Italiani stiamo reggendo bene lo stress ma tocca aspettare.” 

In questo momento, mentre il nostro giornale va in stampa, a Kiev piovano ancora bombe, l’Europa è in guerra, ma centinaia di persone sono state arrestate a San Pietroburgo e a Mosca colpevoli di aver fatto risuonare un grido: PACE. 

Nessuno vuole la guerra se non chi la dichiara. La Russia stessa sembra non volere la guerra, non vuole mandare i propri figli a morire; i figli dei poveri, perché’ è risaputo che i generali si lustrano le medaglie ma sono i poveri a strisciare tra le sterpaglie in mezzo al fango. 

Diversa è la bandiera, ma uguali sono i fardelli, perché la guerra non fa nessuno grande e distribuisce soltanto torti.

E se un pallone basta ad evitare una sanguinosa sciagura, speriamo che dell’ingordigia umana si antepongano lo spirito di competizione pacifica, dove i ragazzi di tutte le nazioni si sfidano con abilità senza l’uso delle armi.

Quindi fermatevi, perché la guerra non è mai una soluzione e resterà sempre un problema! In bocca al lupo al nostro De Zerbi speriamo possa tornare presto a casa, ma soprattutto che questo conflitto finisca presto, perché non porterà né vincitori né vinti. Che Dio vi benedica tutti…

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