Le sue punizioni di sinistro, lente e inesorabili, si appoggiavano in rete proprio come le foglie d’autunno
Mario Corso è stato uno dei giocatori migliori che l’Italia abbia mai avuto. Dicevano fosse discontinuo. Ma Corso era sempre dentro il campo, vittoria dopo vittoria e spesso decideva lui con gol che sapevano di poesia.
Era un titolare fisso nonostante Herrera non lo sopportasse perché era il cocco della signora Erminia Moratti: aveva paura che gli parlasse male di lui. A ogni sessione di calcio mercato Herrera consegnava la lista dei partenti a Moratti.
Al primo posto c’era sempre Corso. Moratti, per risolvere la questione, aumentava lo stipendio a Herrera e si teneva Corso. Ma anche Herrera, nonostante tutto, se lo teneva stretto e lo faceva giocare sempre.
Ma quale discontinuo. Era divino ed esatto, un giocatore straordinario che non aveva bisogno di correre quanto gli altri, lui faceva correre il pallone. Mariolino Corso era il faro che non vuole essere visto, aveva dentro Coppi e Bartali insieme, l’intera valigia del calcio che portava senza avvertirne il peso, irraggiungibile.
Talento cristallino, esempio tipico di genio e sregolatezza, in grado di fare qualunque giocata col suo sinistro incantato: dai lanci millimetrici alle memorabili punizioni a foglia morta.
Si, perché c’era chi le punizioni le scagliava in rete di potenza come il grande Gigi Riva ma lui, l’undici nerazzurro, colpiva la palla in modo leggero e quando la sfera superava la barriera, poi si afflosciava e terminava magicamente in rete proprio come una foglia ingiallita nel mese d’autunno.
Sembrava un calciatore lento, ma quando partiva palla al piede con velocità insospettabile, era imprendibile. Corso quando correva sembrava una signora che inseguiva il tram, poi col suo sinistro divino illuminava lo stadio. Mariolino era un asso del calcio che ha deliziato un mondo intero e finanche il grande Pelè disse una volta che gli avrebbe fatto piacere se avesse giocato nel suo Santos.
