Si è spenta il 10 agosto, a Roma all’età di 51 anni Michela Murgia. La scrittrice soffriva di un tumore maligno del rene, ormai da tempo al quarto stadio, ovvero il più avanzato. Dallo scorso 6 maggio, data in cui raccontò pubblicamente del suo carcinoma renale in un’intervista ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, ha aggiornato i suoi lettori con costanza sullo sviluppo della sua malattia. Con una foto che la ritraeva sorridente con cuffie e cannule nasali dell’ossigeno, lo scorso 29 luglio aveva fatto sapere di essere tornata in ospedale. «Posso stare meglio, ma non posso più stare ‘bene’.
‘Meglio’ è comunque preferibile a male»: così aveva descritto le sue condizioni, citando l’editore Cesare de Michelis. Nata il 3 giugno 1972 a Cabras, un piccolo comune di quasi 9mila abitanti in provincia di Oristano in Sardegna, Michela Murgia è stata un’intellettuale dai mille volti.
Da insegnante di religione nelle scuole si è prima affermata come autrice con un profondo legame con la sua terra natia per poi percorrere un’importante carriera letteraria segnata da romanzi, racconti, saggi e articoli che affrontano temi di grande rilevanza sociale e umana. Con la sua scrittura ha donato uno sguardo critico sulla società attuale (e non solo) esplorando l’identità, la spiritualità, il potere, la politica, la morte, ed è diventata un faro nel femminismo (intersezionale) contemporaneo.
Prima di dedicarsi all’attività di scrittrice ha svolto diversi lavori, tra cui quello di venditrice telefonica, esperienza che ha analizzato con il suo romanzo (tragicomico) d’esordio – Il mondo deve sapere (Einaudi, 2006) – dove ha messo in luce i raggiri psicologici e i castighi aziendali subiti da chi lavora nei call center.
Dal 2010 al 2014 è stata sposata con l’informatico Manuel Persico. Lo scorso 15 luglio sono arrivate le seconde nozze: si è sposata civilmente con l’attore Lorenzo Terenzi. Un passaggio obbligato e «controvoglia», determinato dalla necessità di garantirsi i diritti a vicenda qualora le cose si fossero complicate perché «lo Stato vuole un nome legale che prenda le decisioni». Poi una settimana dopo ha celebrato quella che per lei era l’unione in cui credeva davvero: la storia d’amore con la sua famiglia queer. Tutte e tutti rigorosamente vestiti di bianco, anelli chevalier di resina, e la scritta «God save the queer» ricamata sul suo abito.
Dal cantante lirico Francesco Leone, l’attivista Michele Anghileri alle scrittrici Chiara Valerio e Chiara Tagliaferri fino a Roberto Saviano: sono in tutto dieci i componenti della sua queer family. Un nido d’amore «in cui – come lo definì l’autrice – le relazioni contano più dei ruoli» e dove i rapporti «superano la performance dei titoli legali e limitano le dinamiche di possesso». Un racconto del suo privato che ha scelto di portare avanti pubblicamente perché – spiegò il giorno delle nozze – «il nostro vissuto personale oggi è più politico che mai, e se potessi lasciare un’eredità simbolica, vorrei fosse questa».
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