Il terribile attacco di Hamas contro Israele. La risposta di Benjamin Netanyahu al gruppo islamista palestinese. Le bombe e l’assedio totale su Gaza. Gli attestati di solidarietà, ma anche le critiche: Tel Aviv vive giorni dolorosi e difficili. Ne abbiamo parlato con Anna Foa, storica e autrice di testi importanti sulla storia degli ebrei in Italia e in Europa e sulla deportazione (tra cui “Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento” e “Portico d’Ottavia 13”).
Professoressa, che sensazioni e pensieri ha rispetto a quello che sta accadendo in questi giorni?
Partirei da una premessa: sono di sinistra, ho sempre considerato importante il riconoscimento di uno Stato palestinese e mi sono opposta alla riforma giudiziaria del governo Netanyahu che, riducendo i poteri della Corte Suprema, ha tentato di consolidare il suo potere senza opposizione. Tuttavia, va sottolineato con forza che non c’è alcuna giustificazione per i fatti che si stanno consumando a partire dal 7 ottobre: quello di Hamas è un atto di genocidio e di antisemitismo. Parlo raramente di antisemitismo, ma stavolta è necessario perché siamo ben oltre i limiti dell’offensiva bellica. Non è vero che tutte le guerre sono uguali, perché non è vero che in tutte le guerre ci si accanisce con ferocia perfino sui bambini. Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento della Shoah: esistono i crimini di guerra e la possibilità per i tribunali internazionali di giudicarne i responsabili.
Cosa può fare Israele in questa situazione?
È difficile dare una risposta, l’unica cosa certa è che Hamas va fermata. È un’organizzazione terroristica che causa sofferenza ai palestinesi stessi: i nostri studenti smettano di esaltarla, e la smettano anche alcuni esponenti di sinistra. Purtroppo, però, confesso di non avere grande fiducia nel governo israeliano. E mi domando perché le forze militari siano state concentrate sui territori dell’autorità palestinese e non sulla Striscia di Gaza, il cui fronte era relativamente sguarnito. Qualcuno parla di vendetta… Le vendette non servono a nulla. Devono essere trovate soluzioni politiche, anche se in questo momento fatico a immaginarle. Sono stata molto colpita da un articolo dello scrittore israeliano David Grossman sulle sue conseguenze di questo nuovo conflitto. La sua ipotesi è che Israele, e con esso il mondo, dopo la guerra sarà molto più di destra, militante e razzista. “La guerra che le è stata imposta imprime nella sua coscienza gli stereotipi e i pregiudizi più estremi e odiosi che definiscono – e continueranno a definire in modo sempre più profondo – la fisionomia dell’identità israeliana, identità che d’ora in poi includerà anche il trauma dell’ottobre 2023. E il carattere della politica di Israele, la polarizzazione, la spaccatura interna”, scrive Grossman. È una prospettiva molto pessimista, ma solleva questioni cruciali.
Intanto il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha ordinato “l’assedio c ompleto” di Gaza – con stop di acqua, viveri ed elettricità anche ai civili. Una decisione che ha suscitato l’immediata reazione dell’Onu, che parla di violazione del diritto internazionale umanitario. Qual è il suo pensiero?
È difficile esprimere a parole le emozioni che provo, ma mi pervade un profondo senso di orrore e angoscia. Se l’obiettivo di questa azione è una sorta di vendetta o un tentativo di isolare il governo di Hamas rispetto alla popolazione palestinese, compreso l’invito a spostarsi verso il sud, credo che non sia una soluzione efficace. In realtà, penso che l’isolamento totale e il blocco non siano mai state soluzioni praticabili. Israele, in passato, ha cercato di chiudere i legami con l’autorità di Gaza e con Hamas, ritirandosi dalla Striscia. Allo stesso tempo, dobbiamo tenere conto delle azioni di Hamas, che ha brutalmente soppresso l’opposizione politica e ha influenzato le elezioni in modo da determinare l’attuale situazione. (Adalgisa Marrocco)
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