di Cav. Luigi De Luca, OMRI
La Cucina Italiana è Patrimonio UNESCO. Ma cosa significa davvero rispettarla? Non basta festeggiare il riconoscimento. Non basta appendere una bandiera, né scrivere “autentico” su un menù. Rispettare la Cucina Italiana significa assumersi una responsabilità culturale. Significa capire che non stiamo proteggendo solo delle ricette… ma un linguaggio, una memoria, un sistema di valori, un modo di stare al mondo. E allora, cosa dobbiamo fare, tutti, in Italia e nel mondo, per essere degni di questo riconoscimento?
Rispettare gli ingredienti. L’ingrediente non si nasconde, non si camuffa, non si tradisce. La nostra cucina nasce dalla semplicità, non dall’eccesso.
Rispettare le tecniche. La carbonara non si fa con la panna. La pasticceria non si improvvisa, Il gelato non si fa con polveri e aromi. Il pomodoro non si cuoce per tre giorni, gli arancini/ne non si mangiano con forchetta e coltello. (Non è snobismo: è cultura.)
Rispettare la verità del piatto. Ogni regione, paese e famiglia ha una storia. La cucina italiana non è un’imitazione: è identità. E l’identità non si improvvisa.
Rispettare i produttori. Dietro ogni piatto c’è la fatica di chi coltiva, raccoglie, pesca, alleva, produce. La cucina italiana esiste solo se esiste rispetto per la terra e per chi la lavora.
Rispettare chi tramanda. Cuochi, artigiani, pasticcieri, gelatieri, nonne, maestri: ogni loro gesto tiene viva la tradizione.
Rispettare noi stessi. La cucina italiana non è moda, non è business: è misura, bellezza, autenticità. E ora una verità scomoda, ma necessaria.
Molti ristoranti nel mondo che propongono “cucina italiana” non hanno origine italiana, né formazione, né tradizione. E spesso non la rispettano. Ma non per cattiveria. Non per ignoranza. Semplicemente perché non è la loro cultura. E allora la risposta non è giudicarli. Non è deriderli. Non è accusarli di “voler solo fare soldi”.
Perché la verità è questa: sono nati per capitalizzare sulla bellezza della nostra cucina. E questo, anziché infastidirci, dovrebbe renderci responsabili.
Perché più loro fanno bene, più loro migliorano, più loro cucinano con autenticità, più cresce anche la nostra credibilità culturale nel mondo. Siamo noi i custodi della tradizione. Loro possono diventare i nostri ambasciatori. Ma solo se siamo disposti a insegnare, condividere, guidare. A essere mentori invece che giudici. La forza della Cucina Italiana non è nel proteggersi, ma nel diffondersi senza perdere la sua anima.
Il riconoscimento dell’UNESCO non è un trofeo. È un patto. Un impegno quotidiano. Io continuerò a portarlo avanti con umiltà, rispetto e verità. E spero che saremo in tanti.
