Il 10 febbraio del 1947, il trattato di pace di Parigi firmato dall’Italia con gli alleati, assegnò alla Jugoslavia quasi tutta l’Istria, Fiume e Zara, provocando la fuga in massa degli Italiani dalle zone annesse dal maresciallo Tito, capo politico e militare iugoslavo. Nel marzo del 2004 con la legge nr. 9230 è stato istituito il giorno del ricordo, il 10 febbraio di ogni anno, “al fine di conservare e rimuovere la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale “.
La legge parla chiaro, le vittime delle foibe non furono soltanto gli italiani, anzi, la diversa nazionalità dei soggetti in questione, pone l’accento sulla complessità di una tragedia passata per troppi anni sotto silenzio. Si tratta di riconquistare la memoria di quanto accaduto e di non attribuire a sfortunata casualità o a oscuri interessi politici, la strage delle foibe, strage per molto tempo negata sia dagli alleati anglo-americani che dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista di cui fu una vera spina nel fianco, perché opera di partigiani comunisti titini.
Ancora oggi, nei programmi scolastici, il tema è trattato marginalmente o per niente, la stampa se ne occupa di rado e alcune recenti pubblicazioni sembrano sostenere posizioni riduttive o addirittura giustificazioniste. Si cerca di equiparare l’orrore delle foibe a quello della Shoah, tesi impraticabile, l’Olocausto resta un unicum sia per le dimensioni del genocidio che per l’aberrante teoria che lo provocò: ogni equiparazione è fuori luogo e non rende giustizia sia alle vittime della Shoah che a quelle delle foibe.
Alla fine dell’aprile del 1945, a Trieste arrivarono per primi i partigiani jugoslavi dell’esercito del maresciallo Tito e, nei giorni successivi iniziò la caccia al nemico, non solo fascista ma anche collaborazionista dei precedenti governi croati e dalmati. Non solo italiani ma la maggior parte delle vittime fu italiana e, la caccia all’uomo fu la risposta sanguinaria, vera e propria resa dei conti, di chi aveva visto occupata la propria terra, la Jugoslavia appunto, tra il 1941 e il 1943, dall’esercito italiano e l’uccisione di numerosi civili.
Quello che accadde nel 1945, pur nella drammaticità del momento, non si può considerare uno sterminio di massa; i numeri sono alti ma non come quelli che si riferiscono ad uno sterminio, dove il rapporto morti-sopravvissuti è molto diverso e le foibe sono il luogo dell’occultamento dei corpi dei nemici, ma non di una sola parte. In sintesi, quella delle foibe è una storia fatta di faide, dolori, lutti e risentimenti che vede protagonisti un po’ tutti, fascisti e antifascisti, italiani e non italiani.
Una storia di silenzio, di disattenzione e di trascuratezza da parte di chi aveva il dovere di capire tutta quella sofferenza e dolore e, invece, è rimasto a lungo in silenzio o indifferente. Intendo l’uso politico che di quel dolore e di quei lutti si è fatto e che occorre rimuovere, perché le foibe sono soprattutto una storia di solitudine di quanti, profughi e sopravvissuti, furono inascoltati o trattati con disprezzo, perché le foibe sono una lezione di storia dell’umanità che appartiene a tutti e che seppur solo parzialmente raccontata, è memoria collettiva, da conservare e rinnovare perché serva di insegnamento alle generazioni future. (Angela Casilli)
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