di Luigi De Luca
La foto che ho scelto per accompagnare questa mia riflessione sul “vero essere italiani” dimostra con chiarezza che sentirsi profondamente italiani non richiede necessariamente di essere nati in Italia.
Un invito aperto a riflettere sul significato dell’identità, dell’appartenenza e dell’amore per l’Italia, oltre i confini del sangue e del luogo di nascita. Chi ha detto che per essere italiani bisogna nascere in Italia? Chi ha deciso che l’amore per una cultura debba passare dal certificato di nascita o da un albero genealogico? Questo riflessione vuole essere una voce – la mia, ma anche quella di tanti – che rivendicano il diritto di sentirsi italiani non solo per discendenza, ma per scelta, per affetto, per valori condivisi.
Voglio parlare degli italiani nati all’estero, che portano l’Italia nel cuore, anche se magari la conoscono solo dai racconti dei nonni o da una tavola apparecchiata di domenica. Voglio parlare anche di chi non ha sangue italiano, ma si è innamorato della nostra lingua, della nostra arte, del nostro modo di vivere.
E voglio dire, con rispetto ma anche con decisione, che l’identità non si misura con un passaporto, ma con ciò che si ama, con ciò che si costruisce ogni giorno. Essere italiani, per me, è credere nella bellezza che resiste, nella famiglia che accoglie, nella cultura che unisce.
È un gesto, una scelta, un sentire profondo. Lasciatemi dire la mia. Perché l’Italia è anche nostra — di chi la porta dentro, ovunque si trovi. Si tratta dell’immagine di un ristorante sardo in Giappone, gestito con passione da titolari giapponesi. Vi invito a visitarlo, per comprendere con i vostri occhi cosa significa “essere o sentirsi italiani.”
