Cari amici, oggi voglio raccontarvi la differenza tra mangiare al ristorante e mangiare a casa. Chi di voi non è mai andato a pranzo in un ristorante con la famiglia? Immagino nessuno, non potrei credere il contrario.
Di solito, quando si decide di andare a mangiare fuori (dopo aver finalmente trovato un accordo su chi e dove), si parte, sempre con i telefonini in mano… “Gira qui”, “No, gira alla prossima”, e così via. Una volta trovato il ristorante e parcheggiato, si entra, ma sembra che stia entrando una mandria di pecore sciolte. Poi c’è la lotta per i posti: “Io vicino a lui no, fa troppi rumori strani e puzza!”, “Il nonno no, vicino ai bambini è impossibile, non stanno mai fermi”, e così via. Finalmente, dopo mille discussioni, si riesce a trovare una sistemazione, tutti seduti.
Arriva la distribuzione dei menù, e comincia la consueta consultazione dei piatti. Quasi sempre, la mamma e la figlia maggiore leggono a voce alta i vari piatti, si consultano su cosa ordinare e sui gusti di ciascuno. La scelta dei piatti, se la famiglia è numerosa, può richiedere da mezz’ora a 45 minuti. Quando sembrano finalmente tutti d’accordo, si passa a chiamare il cameriere, che viene interrogato su cosa ne pensa di un piatto piuttosto che un altro, come se fosse possibile che quel povero cameriere conosca i gusti di tutti i membri della tavola. Ma lui, con garbo, ci prova, sperando che il suo suggerimento vada a buon fine.
Nel frattempo, partono le domande del tipo: “Lo chef cosa ne pensa?” o “Lo chef avrebbe qualche suggerimento?” Ebbene, sappiate che il cameriere non riferirà mai niente allo chef, perché ci tiene troppo alla propria incolumità e al posto di lavoro.
Poi iniziano i “ritocchi” ai piatti:
“A me lo spaghetto lo faccia al dente”.
“Per il nonno, mi raccomando, ben cotto, sa, ha la dentiera”.
“A me va bene a cacio e pepe”, dice il figlio maggiore.
“A me alla puttanesca, con molto peperoncino!”, inneggia il padre, con la speranza che il piccante possa aiutarlo in qualche modo.
E così via. Poi, quando si arriva alle bevande, ecco un altro momento di tensione:
Chi prende la coca, chi l’acqua naturale, chi quella frizzante, chi il vino rosso, chi il bianco, e chi la birra. E, come sempre, c’è una spasmodica richiesta di “che tipo di birre avete?”. Strano, ma otto volte su dieci, la birra che chiedono non c’è mai.
Fossi il cameriere, risponderei: “Vede per caso nella lista il tipo di birra che cercate?” “Nooooo!” “Allora non c’è”. Ma ovviamente il cameriere educatamente non dice niente, si trattiene e sorride.
Finalmente arrivano i piatti e tutti, contenti, si ingozzano senza proferire parola. Manca solo che facciano la scarpetta, tanto era buono il piatto scelto. Poi si passa al dessert, al caffè e al bicchierino finale. Tutti soddisfatti, senza alcun reclamo.
Ora, immaginate la stessa scena, ma a casa, con la mamma che cucina, magari le stesse cose mangiate al ristorante. Siate certi che a nessuno andrà bene. Sempre il classico: “Ma non ha lo stesso gusto del ristorante!” E così via.
A questo punto, se fossi la madre di famiglia, direi ai miei cari: “Perché non vi trasferite tutti al ristorante?” Ma strada facendo… meglio di no.