di Luigi De Luca
L’importanza del gesto, dell’amore, della cura – La differenza tra una ricetta fatta bene e una maltrattata sta nell’amore che ci si mette. La tradizione è un atto d’amore tramandato.
Offendere un dolce è come offendere una madre è una ferita emotiva e culturale. Un affronto all’anima di ciò che si ama e si rispetta.
Ci sono cose che non si toccano con leggerezza. Non perché siano sacre in modo religioso, ma perché portano dentro la memoria di chi siamo. Per un italiano, vedere stravolto un piatto tradizionale – soprattutto un dolce legato all’infanzia, ai giorni di festa, al profumo di casa – è un po’ come sentire offesa la propria madre. Un colpo al cuore.
Un affronto alle radici… che sia un semplice gelato, un piatto di pasta, un cannolo, o un dolce delle feste – è un frammento di cultura popolare che ha attraversato generazioni, mani sapienti, storie familiari, povertà e ingegno.
Una ricetta non è soltanto una sequenza di ingredienti e grammi. È un atto d’amore, un gesto tramandato, una cura che passa da una mano all’altra. Preparare un dolce tipico non significa solo “replicare” qualcosa: significa onorarne la storia, ascoltare la voce di chi l’ha fatto prima di noi, metterci lo stesso rispetto.
Quando un dolce, e non solo, viene realizzato male, senza attenzione, senza cuore – magari per scopi commerciali o per ignoranza – non è solo brutto da vedere o cattivo da mangiare. È una mancanza di rispetto per chi quella ricetta l’ha vissuta, magari come conforto in tempi duri o come gioia condivisa in famiglia.
In una piccola caffetteria dove vado con mia moglie, c’è in vetrina un dolce messinese che conosco bene. E ogni volta che lo vedo, così travisato, mi si stringe il cuore. Non c’è amore in quell’impasto, non c’è storia, non c’è anima. I miei occhi si posano su quel dolce e sugli arancini (tra i prodotti sacri per i messinesi e per tutta la Sicilia). O, meglio, su quello che dovrebbero essere. Ma la forma è sbagliata. La consistenza tradisce. L’amore è assente.
Mi si stringe il cuore non per nostalgia, ma per dignità. Solo prodotti senz’anima. E ogni volta mi ricorda quanto sia facile dimenticare la verità di un piatto, quando si cucina solo per riempire un vuoto e non per onorare una memoria.
Accorato appello agli operatori del gusto questo non è un richiamo nostalgico al “si stava meglio prima”. È un invito responsabile e concreto, rivolto a chi lavora con il cibo: rispettate l’origine delle cose.
Non tutto è “fusion”. Se non conoscete la storia di un piatto, evitate di cambiarlo con leggerezza. Informatevi. Ascoltate. Chiedete a chi ne sa più di voi. Chiedetevi: sto migliorando o sto tradendo?
E allora, se proprio dovete rifare un piatto italiano, fatelo con rispetto. Con umiltà. Con cuore. Perché la tradizione non è rigida, ma esige fedeltà emotiva. È un dialogo, non un travestimento. E’ rispetto per la propria madre.
