La crisi di governo e le elezioni del 25 settembre

Le dimissioni del governo Draghi e il terremoto politico che ne è seguito, pongono una serie di domande a cui il dibattito pubblico cerca affannosamente di dare una risposta. Ci si chiede, con palese stupore, perché il governo è stato sfiduciato senza una sfiducia aperta ma nascondendosi dietro la procedura parlamentare della non partecipazione al voto, quali siano le ragioni che hanno portato alla crisi di governo e come uscirne.

Il governo Draghi, nella storia delle democrazie parlamentari, non è il primo governo di unità nazionale; i governi di unità nazionale nascono quando è necessario affrontare un’emergenza e restano in carica fino a quando l’emergenza non è stata risolta, a condizione però, che i governi si dimostrino all’altezza della sfida, all’altezza di quanto si chiede loro di fare. Nel nostro caso, il governo Draghi si è trovato ad affrontare più di una emergenza dal febbraio scorso ad oggi, ma la sua efficienza nell’affrontarle è fuori discussione e universalmente riconosciuta. Il consenso del Paese è stato rimarchevole e, la reputazione di Draghi oltre confine, ci ha posto al centro della politica europea e transatlantica. Perché quindi sfiduciarlo? Perché c’erano convenienze elettorali di non poco conto, visto l’esito delle amministrative e l’astensionismo dell’elettorato.

I cinque stelle di Conte hanno pensato di recuperare interesse, attrattiva, tornando all’opposizione, la Lega di Salvini ha pensato staccandosi dal governo, di poter competere sullo stesso piano con i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e, Forza Italia ha pensato bene, non avendo più una leadership di valore, vista la decadenza di Berlusconi, di mettersi al rimorchio dei suoi alleati per trarne qualche vantaggio. In realtà le scelte di questi partiti, hanno evidenziato un malessere diffuso al loro interno e generato proprio dall’azione del governo Draghi sia per la sua politica interna che per quella estera: nel primo caso la “modernizzazione inclusiva “, nel secondo “l’euroatlantismo attivo“.

Il PNRR ci mette a disposizione risorse ingenti ma, per usarle, occorre riformare il Paese intaccando quegli interessi, e sono tanti, che ne hanno finora impedito la crescita e favorito, invece, l’indebitamento. Così la riforma della giustizia non è stata gradita dai magistrati, quella della pubblica amministrazione dai funzionari che non funzionano, la riforma del catasto dai beneficiari delle rendite immobiliari, la riforma della competizione tra chi vive di vantaggi dalle posizioni raggiunte e non vuole perderle.

Così gli sfiducianti che non sfiduciano ma escono dalle aule parlamentari al momento della votazione, hanno continuato a proporre scostamenti di bilancio per tutelare provvedimenti iniqui oppure promuoverne di nuovi, richieste che ci avrebbero esposto di nuovo alla speculazione dei mercati. È pur vero chela BCE ha appena istituito uno scudo antispread, ma è altrettanto vero che per beneficiarne è necessario non essere sottoposti ad una procedura per deficit o debito eccessivo e completare con rigore il proprio PNRR.

Come usciremo da quest’ultima crisi? Se si ritiene che il governo Draghi non sia stato una parentesi, allora la divisione politica sarà tra chi ne ha sostenuto il programma e chi lo ha sfiduciato, una divisione destinata a ristrutturare il sistema politico italiano. Se si pensa, invece, che il governo Draghi sia stato una parentesi, allora si tornerà alla logica bipolare attuale che avvantaggia la destra sovranista e anti-integrazionista.

Le elezioni del 25 settembre, dovranno decidere se tornare alla politica prima di Draghi o andare avanti verso un dopo Draghi, per il momento assai nebuloso. La posta in gioco è alta per gli effetti interni e internazionali che queste elezioni produrranno. Bisogna essere consapevoli, al momento di votare, della gravità della situazione e non ascoltare le sirene che, sia a destra che a sinistra, promettono quello che poi non è possibile mantenere. (Angela Casilli)

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