Fake Cucina Italiana

di Luigi De Luca

Ci siamo passati tutti. Una sera, presi dalla nostalgia o dalla curiosità, entriamo in quel ristorante dal nome promettente: “Mamma Rosa”, “Trattoria Napoli”, “La Dolce Vita”. Insegna tricolore, tovaglie a quadretti, magari anche un mandolino appeso al muro. 

Poi arriva il menù… e capiamo subito che qualcosa non torna. Carbonara con panna. Spaghetti alla bolognese. Fettuccine Boscaiola. Pizza con pollo al curry. Riso con pollo e pomodoro secchi. Tiramisu al mango… A quel punto ci scappa l’occhiata complice col nostro amico italiano. 

Un misto di stupore, dispiacere e senso di smarrimento. Perché noi lo sappiamo: quella non è cucina italiana. È una maschera, un travestimento. Un’imitazione sbiadita di chi pretende di essere Italiano. 

Non basta cucinare della pasta e servirla con le posate sbagliate per parlare di “italianità”. Non basta cuocere un risotto nel wok per chiamarlo “alla milanese”. E no, non basta nemmeno dire “ciao bella” o aggiungere basilico e origano su tutto per essere autentici. Ma come comportarsi, noi italiani all’estero, di fronte a tutto questo? 

Siamo orgogliosi, certo. Ma anche educati, rispettosi. Non vogliamo sembrare quelli che correggono tutto e tutti, ma nemmeno restare zitti quando vediamo la nostra cultura travisata. E allora, come si fa? Semplice, almeno per me che sono nel “giro”. Ecco qualche consiglio pratico per affrontare la situazione con eleganza (e un pizzico di ironia): Chiedi, con curiosità sincera. (e’ importante la sincerita’) “Scusate, ma nella carbonara ci mettete la panna? Sono curioso, perché in Italia non si usa.”  

Non è un’accusa, è una domanda. Ma può accendere una lampadina. Condividi la tua esperienza. Racconta (senza arroganza) come quel piatto si prepara davvero. Magari nasce una conversazione interessante. Evita lo scontro diretto. Se il ristorante è solo una macchina per turisti, prendi nota, e passa oltre. Ma non regalare giudizi troppo indulgenti solo perché “è l’unico italiano della zona”. Premia chi è autentico. 

Un mio messaggio ai ristoratori (con affetto naturalmente): Se scegli di chiamarti “Trattoria Roma” o “Cucina Siciliana”, porta con te la responsabilità di rappresentare un’identità. 

Non è una questione di passaporto, ma di rispetto per una cultura viva, fatta di tradizione, tecnica, ingredienti e memoria. Vuoi innovare? Benissimo. Ma prima impara a conoscere bene la base. Vuoi servire piatti italiani? 

Chiediti se hai parlato almeno una volta con un cuoco italiano, o se hai assaggiato quel piatto in Italia. Perché alla fine il cliente se ne accorge. L’Italia, nel piatto, si sente. E si riconosce. Noi italiani all’estero abbiamo un compito speciale: fare da ponte tra la nostra cultura e chi la scopre attraverso un piatto. 

Con gentilezza, ma anche con fermezza. Perché la cucina non è folklore: è identità. E chiedere di rispettarla e’ un dovere morale verso le nostre origini. E a volte, basta una frase detta con rispetto per cambiare il sapore delle cose.